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Asura: The City of Madness - Recensione (London Korean Film Festival 2016)

Nella città di Annam un poliziotto corrotto si ritrova diviso tra il sindaco e un procuratore alle sue calcagna: Kim Sung-su firma un buon noir dominato dai peggiori istinti umani

Dopo il debutto a Toronto arriva a Londra, grazie al London Korean Film Festival, insieme al suo regista Kim Sung-su e al suo tenebroso protagonista Jung Woo-sung, il film più nero del nero, Asura: The City of Madness.
Una giornata fredda e piovosa è stata lo sfondo ideale per una maratona noir iniziata con un seminario/intervista alla SOAS (Università degli studi Asiatici, Africani e Mediorientali) con il duo Kim Sung-su e Jung Woo-sung, giunti ormai alla quarta collaborazione artistica, e la proiezione del film Asura: The City of Madness nella bella sala vintage del Regent Street Cinema, seguito da un Q&A con il pubblico.
Ad alleggerire il clima di 'dannazione' che il film si porta dietro ci sono state le orde di ragazze urlanti che hanno letteralmente assalito tutto il giorno l’affascinante Jung Woo-sung 'snapchattandolo' con tanto di orecchie e naso da orsetto. Dal canto suo Jung è maestro delle pause ad effetto per fomentare la sue fan e si è concesso a selfies, strette di mano e saluti con mani a cuore.
Il regista e l'attore, legati da un'amicizia di vecchia data, hanno parlato molto dei film fatti insieme e che sono diventati dei classici in Corea del Sud proiettando Jung nell’attuale status di superstar (soprattutto Beat, 1997 e City of The Rising Sun, 1999) e hanno introdotto brevemente il nuovo lavoro Asura.
Il regista ha chiarito che Asura non è il nome della città, come potrebbe suggerire il titolo, ma viene dal nome di semidei della mitologia Buddista (e Hindu) con tre teste e sei braccia che combattono tra di loro, consumati da avidità e pulsioni negative. E non si potrebbe fare una sinossi migliore di questo film.
Annam è una città immaginaria che dalle prime riprese appare come una favelas fatiscente ma che apprendiamo essere in procinto di una completa ristrutturazione. La voce che ci presenta la città e i suoi abitanti e governanti senza scrupoli è di Han (Jung Woo-sung), un investigatore di polizia che per sbarcare il lunario fa da tirapiedi al sindaco Park Sun-bae (Hwang Jung-min) che sta lottando con tutti gli espedienti possibili per assicurarsi l’appalto della ristrutturazione della città e una bella fetta di profitto. Han ha già preso la decisione di dimettersi dalla polizia e affiancare a tempo pieno il sindaco Park (che è anche fratellastro di sua moglie) ma il suo coinvolgimento in un caso di sparizione di testimone e di una morte sospetta di un poliziotto gli mettono alle calcagna il Procuratore Kim Cha-in (Kwak Do-won) che comincia a ricattarlo forzandolo a diventare una sua talpa contro il sindaco. Han si ritrova così a fare il doppio gioco, se non triplo o quadruplo e tutto ciò non porterà nulla di buono, come facile immaginare.
La moglie di Han, un corpo in fin di vita in ospedale, è l’unico personaggio femminile in questo film dominato dai peggiori istinti umani. Siamo abituati alla violenza dei film action coreani che spesso è scatenata da vendetta, ma qui non c’è vendetta, che nel contesto di Asura potrebbe anche essere un nobile sentimento, c’è solo avidità e cupidigia e corruzione a muovere i fili. Han che si trova di fronte ad un orribile dilemma, può solo scegliere il minore dei due mali e lui stesso non agisce in base a qualche briciola di etica rimasta, bensì usando violenza e ricatto come unico percorso verso l'affrancamento.
Annam è una città infernale: c’è una bellissima ripresa aerea notturna, in cui le luci rosse delle strade la fanno apparire come un braciere di carbonella, pronta a grigliare qualsiasi malcapitato ci atterri. Un luogo immaginario, dove gli uomini usano la violenza come linguaggio e moneta di scambio, un mercato dove ognuno ha un prezzo, un corpo malato terminale.
Il film è girato con uno stile particolare, i suoni sono iperrealisti, i colori pastosi, saturi e notturni, quasi onirici, ad accentuare l’inquietudine di una saga urbana che non ha redenzione e nessun appiglio emotivo, totalmente nichilista e intrinsecamente coreana. C’è un ottimo inseguimento in macchina pieno di rabbia e furia e naturalmente c’è un corridoio molto insanguinato alla fine.
Jung Woo-sung ha detto di averci messo molto per scrollarsi di dosso il personaggio del film e di svegliarsi ancora digrignando i denti e bestemmiando. La sua è una performance intensa e accorata, ma ottimi sono anche Kwak Do-won, visto recentemente in The Wailing, e Hwang Jung-min che è sempre strepitoso in questi ruoli da psicopatico, come in New World (ma anche in parti comico-sentimentali).

Come quasi tutti i film coreani, Asura è un po’ lungo soprattutto nella parte centrale di dialoghi e intrecci che porteranno al bagno di sangue finale, ma questo della prolissità sembra essere un divario culturale incolmabile con la Corea!




Il nostro giudizio: Il nostro giudizio è 3.5

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Adriana Rosati

Segnata a vita da cinemini di parrocchia e dosi massicce di popcorn, oggi come da bambina, quando si spengono le luci in sala mi preparo a viaggiare.

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