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Steel Rain (Gangcheolbi) - Recensione (Far East Film Festival 2018)

Con il thriller politico Steel Rain apre i battenti il 20esimo Far East Film Festival di Udine: l'opera seconda del coreano Yang Woo-seok, accanto alla suspense tipica del genere, inserisce il sentitissimo tema della divisione della Corea

Per la serata inaugurale del 20° Far East Film Festival, gli organizzatori scelgono Steel Rain, l’opera seconda del regista coreano Yang Woo-seok, thriller politico ad alta tensione distribuito da Netflix e che quindi al Teatro Nuovo di Udine avrà uno dei suoi rari se non unici passaggi sul grande schermo al di fuori della Corea. Una scelta che la direttrice Sabrina Baracetti ha ben spiegato nell’intervista che ci ha rilasciato alla vigilia dell’opening night.
Yang, presente in platea insieme agli attori protagonisti, già nel suo buon film d’esordio, The Attorney, aveva affrontato le tematiche civili del periodo storico in cui la Corea del Sud era oppressa da una dittatura militare feroce. Con Steel Rain il suo sguardo si sposta sulla tematica forse più sentita in questo momento dal paese, la divisione della Corea, optando quindi nuovamente per una pellicola dalle forte tinte politiche, inserendosi così nel filone che in quest’ultimo anno ha portato diversi registi ad occuparsi del problema del Paese diviso in due.
Su questo sottofondo politico-sociale Yang mette in piedi però un thriller abbastanza classico che abbraccia un po’ tutti i generi, dalla spy story all’action movie al dramma, e che si articola sulle figure di due uomini che di fatto hanno molto in comune, oltre al nome, lavorando entrambi nell’ambiente della sicurezza nazionale, però sulle sponde diverse rispetto al confine coreano.
Nella Corea del Nord qualcosa si agita nelle alte sfere: guerre intestine, venti di rivolta all’interno delle forze armate, ambizioni personali che contribuiscono tutte a creare un clima da Colpo di Stato col rischio imminente di guerra nucleare. Nella Corea del Sud nel frattempo si stanno per svolgere le elezioni presidenziali nelle quali i problematici rapporti coi nemici del nord costituiscono uno dei temi caldi.
L’uomo del nord, fedele alla causa del Leader Supremo (nessuno lo nomina mai, ma è chiaro il riferimento a Kim), viene assoldato per sventare un probabile attacco di generali golpisti in occasione di una manifestazione, e si ritroverà a scampare al massacro portandosi dietro, in fuga verso la Corea del Sud, proprio il Capo Supremo gravemente ferito.
Dall’altra parte del confine l’uomo del sud, un alto membro della sicurezza, si imbatte nell’ospite infiltrato quasi per caso e dopo l’inevitabile scontro iniziale tra i due dapprima una convergenza di interessi e poi la nascita di una simpatia reciproca darà corpo ad una unione di intenti che dovrà evitare una guerra nucleare e quindi determinare la sorte dei due paesi.
Accanto alle situazioni da film classico e dal sapore antico ad impronta spionistica, Steel Rain sviluppa la sua tematica che nasce dall’analisi politica dei due paesi per finire con una storia di amicizia e di reciproco bisogno, non senza dipingere con un certo fastidio, a volte addirittura risentimento, il ruolo svolto dalle superpotenze che per decenni hanno utilizzato la penisola coreana come campo di battaglia diplomatico e politico con atteggiamento fortemente egemone.

Se nel suo insieme il lavoro di Yang ha il suo indubbio valore grazie ad un buon ritmo e a una trama sufficientemente ingarbugliata come si conviene alle spy story, arricchita da momenti da autentico action movie tecnicamente invidiabile di tipica impronta coreana, qualcosa sembra essere carente nello sviluppo dei due personaggi e nell’affidarsi in alcune occasioni a cliché abusati. Di certo l’anelito nazionalista e riunificatore emerge fortissimo insieme alla implicita aspirazione, una volta tanto, di poter determinare le sorti della storia coreana senza l’ingerenza straniera.
I due attori protagonisti, nonostante, come detto, qualche dubbio sullo spessore dei personaggi sia lecito, offrono certamente una grande prova degna del loro nome e della considerazione che riscuotono nel panorama cinematografico coreano: Jung Woo-sung miscela armoniosamente la sua professionalità da infallibile agente nordcoreano con una dolorosa carica umana, Kwak Do-won a sua volta riesce ad infondere anche qualche momento di sottile ironia nel suo personaggio di uomo di potere.




Il nostro giudizio: Il nostro giudizio è 3

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Massimo Volpe

"Ma tu sei un critico cinematografico?" "No, io metto solo nero su bianco i miei sproloqui cinematografici, per non dimenticarli".

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