1987: When The Day Comes - Recensione (Far East Film Festival 2018)
- Scritto da Adriana Rosati
- Pubblicato in Asia
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Prima di affrontare 1987: When The Day Comes del regista Jang Joon-hwan, vincitore indiscusso del Far East Film Festival 20, è doveroso accennare i fatti dell’estate del 1987, perché probabilmente sono poco noti al pubblico occidentale e il film, pur con dei tocchi di finzione, è fortemente basato su di essi.
La cosiddetta Lotta di Giugno o Movimento Democratico di Giugno è un momento cruciale della recente storia della Corea del Sud. I moti di protesta, violenti ed estremi, si svolsero tra il 10 e 29 giugno dell’anno riportato nel titolo e portarono il governo alle elezioni democratiche che in seguito diedero vita alla Sesta Repubblica, ovvero il governo attuale della Corea del Sud. Dal 1972 i Presidenti coreani venivano eletti indirettamente da un collegio elettorale scelto dal regime, quindi ben lungi da ogni concetto di democrazia. Anni di bassezze e brogli del governo avevano facilitato un’alleanza tra il movimento laburista, gli studenti universitari e la Chiesa che insieme esercitavano pressione crescente sul regime e che avranno poi una parte fondamentale negli eventi di quel Giugno.
L’evento catalizzante che fece scattare i moti fu la tortura e uccisione del giovane studente attivista Bak Jong-cheol a Seoul. Arrestato e torturato, il ragazzo morì durante un ennesimo interrogatorio in carcere. La sua morte fu inizialmente insabbiata, ma l’associazione Preti Cattolici per la Giustizia e la stampa riuscirono a rendere pubblica la vicenda scatenando un vero inferno. Il movimento universitario era il più agguerrito nell’organizzazione delle manifestazioni e quando lo studente Yi Han-yeol fu colpito mortalmente alla testa da un fumogeno sparato dalla polizia, la sua immagine divenne simbolo della rivolta. Un milione e 600 mila cittadini parteciparono al suo funerale che si trasformò in una potente marcia di protesta che finalmente segnò l’inizio delle riforme e permisero le elezioni che diedero forma all'apparato governativo ancora oggi in vigore.
Il film riprende la storia dalla scintilla iniziale e parte con la morte sotto tortura di Bak Jong-cheol per mano di un gruppo di ceffi della Squadra Anti-Comunista della polizia. Un 'incidente' inopportuno che il gruppo prova goffamente a mascherare chiamando un medico per cercare di rianimare il ragazzo. Il caso vuole che per firmare il certificato di morte ci s’imbatta nel procuratore Choi Hwan (Ha Jung-woo) che, sentendo puzza di bruciato, impone l’autopsia del cadavere. Da qui la storia s’ingigantisce e il coinvolgimento della stampa, la cui libertà di espressione era stata al centro della repressione governativa, della Chiesa, di altre sezioni moderate della polizia e degli studenti, riesce a far luce sulla morte di Bak Jong-cheol. Nello svolgersi dell’azione vediamo coinvolti il commissario capo della Sezione Anti-Comunista Park Cheo-won (Kim Yoon-seok) e altri personaggi di finzione come il detective Jo Han-kyung (Park Hee-soon), il secondino con una coscienza Han Byung-yong (Yoo Hae-jin), sua nipote Yeon-hee (Kim Tae-ri) che fa da connessione con il personaggio (reale) di Yi Han-yeol (Gang Dong-won), lo studente la cui morte porrà fine ai moti. Anche il film finisce con il suo funerale e con un commovente tocco il regista mostra foto e riprese dell’epoca che si sovrappongono a quelle di finzione, concludendo in maniera corale ed emozionante.
La narrazione nel film si divide in due distinte parti con diversi umori e toni. La prima parte si concentra sui fatti e ha tutte le modalità e le forme del thriller politico mozzafiato, l’azione è incalzante e decisamente coinvolgente, aiutata da un montaggio eccezionale. A un certo punto però, il regista purtroppo imbocca la traversa del melodramma, inserendo una storia d’amore adolescenziale che non si capisce bene cosa c’entri. In realtà non è difficile capire perché sia stata inserita, i due protagonisti Kim Tae-ri e Gang Dong-won sono due popolarissimi idoli K-pop, pure calamite per un pubblico di fascia demografica estremamente giovane. Il film infatti fa l’errore di perdersi nell’ambizione di coinvolgere e catturare più strati di pubblico possibile: per ottenere quest’universalità si diluisce in molteplici scenari, dal thriller alla commedia alla storia d’amore alla Il tempo delle mele. Basta dare un’occhiata al cast che comprende le star più grandi del cinema coreano del momento, persino delle micro-parti sono affidate a grosse celebrità. E’ evidente il tentativo di raggiungere tutti e piacere a tutti, che nel caso di questa importante vicenda storica è indubbiamente ammirabile, ma nel farlo il regista ha ancorato il film ad un'estetica molto coreana, rendendolo, per paradosso, meno universale. Il fatto che Jang Joon-hwan abbia pensato che le azioni straordinarie del popolo coreano nel 1987 e la loro rivolta per la democrazia non fossero da sole abbastanza eloquenti, è in qualche modo avvilente. E’ un’occasione leggermente sprecata, perché al di fuori del melodramma il film è di gran qualità, dall’azione alle performance degli ottimi attori, fino all’accurata e godibile ricostruzione degli Anni ‘80.
In conclusione, 1987: When The Day Comes è un film emozionante e coinvolgente, ma con uno scivolone quasi imperdonabile e francamente non necessario, nel melodramma così caro al pubblico locale.
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Adriana Rosati
Segnata a vita da cinemini di parrocchia e dosi massicce di popcorn, oggi come da bambina, quando si spengono le luci in sala mi preparo a viaggiare.