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Chevalier - Recensione (London Film Festival 2015)

Sei uomini devono determinare chi di loro sia il migliore durante un week-end cameratesco in barca: Athina Rachel Tsangari racconta l’ego maschile con toni comici e intelligenti

Vincitore come miglior film al London Film Festival 2015, che quest’anno è dedicato alle donne, è un film sull’ego maschile in cui non c’è nemmeno l’ombra di una donna. Ma non lasciatevi ingannare: Chevalier in realtà è un film molto femminile della regista greca Athina Rachel Tsangari, che insieme ad Yorgos Lanthimos e al loro condiviso sceneggiatore Efthymis Filippou sono considerati la new wave greca del cinema 'weird' (strano). Chevalier è un lavoro meno strano e più 'piacione' di Attenberg, il lungometraggio di esordio della regista. È un film che si fa amare facilmente, ma non per questo banale o ruffiano nei confronti del pubblico.
Sei uomini stanno trascorrendo insieme un week-end cameratesco di immersioni e di pesca sul lussuoso yacht di uno di loro, detto il Dottore (Yiorgos Kendros). Sono di età varie e hanno diversi gradi di conoscenza tra loro. C’è Yannis (Giorgos Pyrpassopoulos), genero del Dottore che ha portato con sé il fratello Dimitris (Makis Papadimitriou), goffo e un po’ nerd. C’è Yorgos (Sakis Rouvas) che lavora per il Dottore ed è il tipico maschio 'Alpha' e ci sono Josef (Vangelis Mourikis) e Christos (Panos Koronis), soci in affari tra loro e amici del Dottore.
La scena iniziale del film, prima ancora dei titoli di testa, li vede uscire dall’acqua con il pescato e tornare a bordo per la rituale foto di gruppo con pesci. Con questa immagine universalmente simbolica della competitività ancestrale maschile, la regista ci anticipa quello che verrà.
I sei infatti cominciano a comparare il bottino di pesca e a cena la discussione continua sfocia nell’assurda pretesa di determinare chi di loro sia il migliore “in generale”. Così decidono di farne un gioco, chevalier, dal nome dell’anello maschile che il vincitore riceverà in premio. Armati di taccuini e penne, i sei passeranno l’intero week-end a scrutinarsi, misurarsi e darsi voti a vicenda su una serie di abilità, capacità e caratteristiche che spaziano dal montare un mobiletto IKEA alla postura mentre dormono, dal colesterolo nel sangue a dimostrazioni più intime (in una parte esilarante e non ovvia). Il tutto sotto lo sguardo divertito del personale di servizio dello yacht, anch’essi tutti uomini e anch’essi alla fine contagiati dallo spirito competitivo che aleggia sulla barca. Non è difficile riconoscere o riconoscersi in questo balletto di gare, confronti, grandi ego e vanità, alternati a complicità e giochi di alleanze.
La sceneggiatura del film della Tsangari è elegante e misurata oltre che geniale. La storia che potrebbe facilmente andare verso un'escalation demenziale di facili stereotipi, riesce a rimanere su toni comici e intelligenti senza cadute di tono. Tensione e ritmo comico sono costanti fino al finale, che quasi stupisce per la sua freschezza e non prevedibilità.
È proprio l’equilibrio il grande pregio di questo film. In contrasto con la competitività del tema, la regia non ci spinge mai verso un personaggio o l’altro, né suggerisce giudizi, ma ci lascia tranquilli ad osservare, come fosse un documentario sulla personalità maschile, la tendenza all’antagonismo e la regressione a dinamiche imparate nei campetti da pallone da bambini e mai abbandonate. Anche i sei attori, diversi e affiatati, non si sorpassano e non sgomitano per attenzione e il lavoro di gruppo è ben orchestrato e diretto. La fotografia è classica e rigorosa, i colori e i toni del mare fuori stagione, ancora freddo e un po’ grigio, sembrano reiterare la posizione di questo film che è decisamente lontano dalla solita commedia demenziale estiva.

La vincita di Chevalier a Londra è una piacevole sorpresa, piuttosto in linea con questo festival che presenta sempre dei titoli molto digeribili dal grande pubblico ma, senza nulla togliere al film, poteva andar peggio ed è incoraggiante che quest’anno non abbia vinto l’ovvio. 


Il nostro giudizio: Il nostro giudizio è 3.5

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Adriana Rosati

Segnata a vita da cinemini di parrocchia e dosi massicce di popcorn, oggi come da bambina, quando si spengono le luci in sala mi preparo a viaggiare.

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