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Steve Jobs - Recensione

Danny Boyle dirige una biografia dell'ex CEO della Apple, Steve Jobs, in tre atti a mo' di piece teatrale, ognuno dei quali dedicato a un momento topico della sua vita. Un'operazione interessante, ma con alcuni limiti...

Un altro film su Steve Jobs, ma ne avevamo bisogno? Armata di questo tipo di critica negatività ho affrontato l’impresa. Quello che ne ha seguito per un verso ha confermato le mie cassandriche visioni ma per un altro mi ha spiazzato.
Danny Boyle, dopo il suo discutibile Trance del 2013, ha messo insieme dei nomi eccellenti per creare un film di gran qualità. La sceneggiatura qui è regina, impreziosita da un virtuoso e istrionico Michael Fassbender, supportato a sua volta da attori impeccabili.
Il film si discosta (per fortuna) dalla narrazione tradizionale tipica della biografia ed è a tutti gli effetti una piece teatrale divisa in tre atti, recitati in tempo quasi reale. Le tre parti sono ambientate poco prima di tre momenti topici, tre presentazioni di prodotti creati da Jobs, destinati a cambiare, non solo la sua carriera, ma, stando a come il film si prende sul serio, anche il futuro dell’umanità.
Il primo atto è ambientato nel 1984 al De Anza Community College di Cupertino, minuti prima del lancio del primo Macintosh.
Il passo è frenetico fin dall’inizio e in questo primo atto si presentano i vari personaggi che riappariranno negli atti a seguire e che sono degli abili espedienti per srotolare i temi fondamentali della vita di Jobs. C’è Andy Hertzfeld (Michael Stuhlbarg) il system-software developer che Jobs sta torturando per far dire “hello” al computer che, a quanto pare, non ne vuole sapere. C’è Joanna Hoffman (Kate Winslet), la pratica e fedele capo del marketing e assistente che lo segue ovunque e c’è John Sculley (Jeff Daniels), il CEO della Apple. C’è poi il timido programmatore Steve Wozniak (Seth Rogen), l’amico con cui Jobs aveva costruito il primo prototipo di Mac nello storico garage e che venne poi oscurato totalmente dalla personalità e il successo di Jobs. Inoltre ad introdurre un po’ di vita personale di Jobs ecco la ex fidanzata con la figlia Lisa di cinque anni, che con un tempismo diabolico lo incalza con richieste di denaro nel momento più sbagliato.
Nel secondo atto siamo nella Opera House di San Francisco. E' il 1988, Jobs è fuori dalla Apple da cui è stato licenziato tre anni prima per mano di Sculley e sta per presentare il nuovo computer della sua azienda NeXT, il “black cube”, che si rivelerà in seguito un insuccesso commerciale. Anche qui i personaggi satellite interagiscono con Jobs, permettendo al pubblico di ricostruire gli anni di transizione che connettono il primo atto con il secondo. Ritroviamo anche la figlia che se prima era stata disconosciuta è ora accettata sulla base della sua intelligenza brillante, ovviamente ereditata dal padre (!).
E con il terzo e ultimo atto saltiamo al 1998, quando Jobs, tornato alla Apple, con il suo iconico maglioncino nero si sta preparando per introdurre il primo iMac a San Francisco nell’era pre Internet-boom. Jobs è più agguerrito che mai, il suo scambio di battute feroci con Wozniak e il suo rifiuto testardo di dare crediti al suo vecchio socio e a tutti gli underdog della Apple non impediscono però di lasciarci alla fine del film con un’immagine da Santino vivente e sembra quasi di scorgere un lampo di luce sulla bella dentatura di Fassbender mentre si appresta a calcare il palco. Grazie al cielo il film ha il buon gusto di fermarsi qui e di evitarci l’iPod, l’iPhone e il cancro.
Il ritmo velocissimo di dialoghi e battute sagaci, di personaggi che percorrono velocemente corridoi, seguiti da assistenti con l’immancabile clip-board risulterà familiare a chiunque sia stato esposto a quei serial televisivi USA dove gente dall’aria importante sembra avere in mano le sorti del mondo e infatti la brillante sceneggiatura è firmata da Aaron Sorkin, geniale autore di The West Wing e The Newsroom. Il film per la sua struttura così teatrale si affida molto oltre alla sceneggiatura, anche alle interpretazioni degli attori che sono tutte eccellenti. Fassbender è in ogni singolo fotogramma e non molla mai, la sua performance è potente e di qualità costante. I tre atti sono girati in tre diversi formati per sottolineare le tre diverse 'ere' tecnologiche, un 16mm dalla grana grossa per il primo atto, un 36mm raffinato per il secondo e digitale HD per il terzo. Una chicca un po’ per addetti ai lavori perché la differenza tra secondo e terzo è appena percettibile.
Non si può negare che questo Steve Jobs sia realizzato come un gran bel film, ma il punto cruciale sta tutto nell’interesse che si ha per il soggetto. Siamo nel campo del puro iPorn: questo è materiale per i fanatici hard-core della Apple, ma il mio sospetto è che piacerà soprattutto ai giovani fan dell’ultima ora, gli entusiasti di iPod/iPhone/iPad per i quali l’immagine ben consolidata della Apple è quasi più importante dell’oggettiva qualità del prodotto.
Io, nonostante sia una Mac user dagli albori e abbia avuto entrambi i computer presentati nel film, sono rimasta un po’ fredda davanti a questo ritratto di un Jobs a cui si perdona una mancanza di empatia a livelli quasi autistici per glorificare la sua genialità. Le ultime scene dove sul palco alle sue spalle c’è l’immagine di uno squalo sono per me fondamentali, tutto sta nel vedere se per voi il paragone con lo squalo abbia una valenza positiva o negativa.

Il mio tono non è polemico, è solo infastidito dal dover dare a questo film un voto alto (meritato) nonostante non mi abbia interessato per niente.


Il nostro giudizio: Il nostro giudizio è 3

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Adriana Rosati

Segnata a vita da cinemini di parrocchia e dosi massicce di popcorn, oggi come da bambina, quando si spengono le luci in sala mi preparo a viaggiare.

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