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Freeheld - Amore, giustizia, uguaglianza - Recensione (Festa del Cinema di Roma 2015)

Deludente lavoro di Peter Sollett: Freeheld - Amore, giustizia, uguaglianza è film privo di profondità, didascalico e senza alcuna impronta degna di nota

Proveniente da Toronto dove ha avuto la sua prima mondiale e passando per San Sebastian dove ha ricevuto il premio per i film che si occupano delle problematiche gay e transex, Freeheld - Amore, giustizia, uguaglianza di Peter Sollett giunge alla decima Festa del Cinema di Roma anticipando di pochi giorni l’uscita nelle nostre sale prevista per i primi di novembre. La pellicola è ispirata ad un caso che ha portato alla ribalta la problematica delle coppie gay: un caso di amore, giustizia ed uguaglianza, appunto, come recita il sottotitolo italiano tanto per creare quell’aura di film sociale che tanto attira e incuriosisce.
E’ la storia di una poliziotta del New Jersey, dalla carriera brillante e carica di encomi, che decide di vivere la sua vita in coppia con una giovane ragazza sfidando le convinzioni e i pregiudizi della becera provincia americana. Quando poi la malattia implacabile si abbatte su di lei, è la stessa donna che solleva il problema della reversibilità della pensione, essendo la legge, all’epoca, ancora lacunosa e che lasciava di fatto ampia facoltà alle autorità locali, prima che sotto la presidenza di Obama e grazie ai movimenti di opinione per la parità dei diritti delle coppie di fatto, la legge sancisse definitivamente la raggiunta parità. Per Laurel Hester, la poliziotta, e Stacie Andree, la compagna, le cose andarono diversamente, visto che i fatti risalgono al 2006, e il risultato fu ottenuto grazie ad una strenua battaglia contro le autorità della Contea.
Intorno a questa tematica che possiamo ben dire non regali proprio nulla in quanto ad originalità, Sollett costruisce un film che fa acqua da tutte le parti: proprio perché di argomento e di genere cinematografico ormai ampiamente abusati, il regista si guarda bene dal dare un tocco di autorialità, di imporre una regia che tolga al film quella patina quasi da film documento e, peccato ancor più grave, non si cura per nulla di creare un background ai personaggi costruendo una prima parte di una superficialità addirittura sorprendente. Basti vedere come le due donne si conoscono, si incontrano, si attraggono e finiscono a letto, tutto presentato con una imperdonabile faciloneria, mettendo le basi per un racconto monco fin dall’inizio.
Inoltre alcune situazioni tipiche da film americano di quarto ordine vengono enfatizzate e vivono di clamorose svolte nel battere di un ciglio: i colleghi gretti e privi di empatia per la poverina malata che in un attimo diventano da sessisti omofobi a paladini dei diritti gay recandosi in corteo nella sede della contea dove si discuteva il caso. Per non parlare poi dell’entrata in campo dell’ebreo gay agitatore di popolo affiancato dal prete (cattolico) nero che prende la difesa degli omosessuali e delle unioni di fatto: a questo punto il film è bello che sepolto in attesa dell’ovvio finale buonista e strappalacrime.
Nel cinema, come spesso ripetiamo, tutto più o meno è stato scritto e messo sullo schermo, quindi non si può accusare il film di scarsa originalità, quello che è imperdonabile è la mancanza di un minimo segno di impronta che regali qualcosa che faccia meritare la visione alla pellicola: storia scritta male, diretta nel più ovvio e convenzionale dei modi, personaggi privi di profondità, solita stucchevole enfasi americana che serve da lavaggio di coscienza, persino l’interpretazione affidata per i due ruoli principali a Julianne Moore ed Ellen Page, manca di spessore perché i personaggi hanno poco da offrire. L’unico personaggio che regala qualcosa di buono è il collega abituale, di Laurel, compagno di tante battaglie, che mostra una rude umanità e che viene interpretato in maniera eccellente da Michael Shannon.

Conoscendo il pubblico, c’è però da giurare che Freeheld non avrà difficoltà alcuna ad appartenere alla ristretta cerchia di film favoriti al successo finale nella rassegna romana: problematiche gay, atmosfere da film sociale, storie di dolore e lacrime formano un cocktail micidiale al quale è difficile resistere.


Il nostro giudizio: Il nostro giudizio è 1.5

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Massimo Volpe

"Ma tu sei un critico cinematografico?" "No, io metto solo nero su bianco i miei sproloqui cinematografici, per non dimenticarli".

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