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Breathe - Recensione (London Film Festival 2017 - Film di apertura)

Andy Serkis esordisce dietro la macchina da presa con Breathe, una pellicola che affronta il tema della disabilità, ma con troppa melassa. Film di apertura del London Film Festival 2017

Il BFI London Film Festival apre i battenti dell’edizione del 2017 con uno sfarzoso Gala in Leicester Square. Tradizione vuole che a dare il via al festival sia un regista britannico, con un film quintessenzialmente britannico che ritragga qualche eccellenza nazionale, protagonista di importanti imprese. Nelle scorse edizioni avevamo visto le Suffragette lottare per i diritti delle donne e A United Kingdom a ricordarci le conquiste sul piano dell’uguaglianza di razza. Quest’anno Andy Serkis, un attore con alle spalle una montagna di ruoli, esordisce dietro la macchina da presa e taglia il nastro della serata, con Breathe, un film che affronta il tema della disabilità.
Breathe racconta infatti una storia vera ed omaggia una coppia che ha lottato e ottenuto grandi risultati per la comunità dei disabili. La coppia in questione sono i Cavendish, Robin e Diana, e sono, tra l’altro, i genitori del produttore del film Jonathan Cavendish, co-fondatore con Serkis della Immaginarium Productions.
Robin Cavendish (Andrew Garfield) è un elegante e giovane rampollo dell’upper class negli Anni ’50. Amante delle macchine sportive, giocatore di cricket e di tennis, Robin ha tutto ciò che un giovane in quegli anni poteva desiderare e il futuro è per lui una emozionante avventura. Quando, ad una partita di cricket, incontra Diana (Claire Foy) è amore a prima vista e molto presto i due giovani si sposano e si trasferiscono in Kenia, dove Robin lavora nel commercio del tè, e dopo pochissimo sono in attesa del loro figlio (il Jonathan di cui sopra). Un giorno però l’uomo collassa e al risveglio si ritrova immobilizzato, paralizzato dalla testa in giù. Con grande shock apprende di aver contratto la poliomielite e avere solo tre mesi di vita. Diana insiste per riportarlo in Gran Bretagna dove viene relegato in una clinica per gravi disabili, attaccato ad un respiratore e con la netta sensazione di essere lì parcheggiato solo ad aspettare il suo momento. Ma Diana decide di prendersi cura di lui a casa, cosa impensabile a quei tempi, e organizza la 'fuga'. Con Robin a casa si ha tempo di pensare e osservare e un amico della coppia, l’inventore Teddy Hall (Hugh Bonneville) mette a punto vari marchingegni per aiutare Robin, fino a costruire una rudimentale sedia a rotelle munita di respiratore. Da qui le cose per Robin migliorano moltissimo, riesce anche a fare qualche viaggio in macchina e persino in aereo ma, cosa più importante, comincia una campagna per la costruzione e diffusione di queste speciali sedie che permettono ai gravi disabili di vivere una vita decente.
“Sparare sulla Croce Rossa” è l’idioma che mi viene in mente in procinto di parlare di questo film. Non si può negare che i Cavendish abbiano contribuito enormemente alla lotta per i diritti delle persone disabili e, come Serkis stesso ci ha fatto notare nell’introduzione al suo film, hanno creato un ponte tra la comunità dei disabili e quella dei non-disabili. E certamente è un’impresa degna di essere ricordata ed esaltata, ma ciò non toglie che il film soffra di una visione molto celebrativa e, francamente, coperta di melassa. La parte del 'prima della malattia' è una noiosa sequenza di stereotipi upper class britannici: cricket, vestitini a fiori, tè e lussureggianti panoramiche della verde Britannia, contrapposte a tramonti dorati in Kenia, picnic africani e chiacchiere da imperialisti ammirando la savana… tutto con molto auto compiacimento. Ovviamente ci si sente dei vili a pensarlo, ma anche durante questa orrenda malattia indubbiamente i Cavendish sono stati aiutati dal loro status sociale e dalla colorita masnada di eccentrici amici, compresi i buffi fratelli gemelli di Diana interpretati entrambi da Tom Hollander.
Garfield fa un buon lavoro con la mimica facciale, ovviamente l’unica parte mobile di Robin e Foy risplende nella parte di Diana ma viene da pensare che sia uno splendore riflesso da quella donna forte e coraggiosa che è stata la reale Diana Cavendish. La colonna sonora è la goccia (di melassa) che trabocca. Composta dal maestro Nitin Sawhney, un veterano delle grandiose colonne sonore, è una sviolinata francamente piuttosto banale.

Bisogna anche dire però che il film è pieno zeppo di buone intenzioni e fa un grande lavoro di divulgazione dei benefici del coraggio e della perseveranza e inoltre è encomiabile che i Cavendish abbiano usato la loro posizione privilegiata in favore dell'innovazione. Si sente fortemente la grande amicizia che lega Serkis a Cavendish, ma resta pur sempre una prova un po' deludente, anche se forse non dispiacerà al pubblico non festivaliero. La regia è di qualità e sono sicura che Serkis potrebbe fare molto meglio alle prese con un soggetto da cui abbia il necessario distacco emozionale.




Il nostro giudizio: Il nostro giudizio è 2

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Adriana Rosati

Segnata a vita da cinemini di parrocchia e dosi massicce di popcorn, oggi come da bambina, quando si spengono le luci in sala mi preparo a viaggiare.

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