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Virgin Mountain - Recensione (London Film Festival 2015)

Un film delicato e con i piedi per terra, Virgin Mountain racconta una storia di solitudini e di un amore gentile

Dagur Kari ha diretto il suo quarto film in uno stato di grazia, nonostante una storia semplice e non molto originale, che come il suo personaggio sta molto stretta nella definizione di commedia romantica e che ha portato a casa il primo premio al Tribeca Film Festival 2015. Il film è stato prodotto da un compatriota più noto, Baltasar Kormakur, regista di Everest.
Il titolo originale è Fusi, il nome del protagonista che, come il didascalico e brutto titolo inglese ci imbocca, è un uomo sovrappeso che a 43 anni non ha mai avuto una fidanzata. Fusi si è costruito una prigione confortevole di abitudini e rituali: i suoi cereali al cioccolato, la sua musica heavy metal, i suoi modellini di war game e macchine giocattolo, il suo lavoro di facchino aeroportuale. Fusi vive ancora con la madre che lavora in casa come parrucchiera, ha pochi amici, diciamo pure uno solo con cui gioca ai war-game, e spesso è vittima del bullismo dei suoi compagni di lavoro tutti birra, calcio e ragazze.
Fusi non sembra scontento però: assorbita dai suoi passatempi, la sua vita sembra essere ormai avviata in un certo modo, persino il cameriere del ristorante thailandese dove Fusi cena di quando in quando, alla richiesta de “il solito” toglie rassegnatamente il secondo coperto dal tavolo.
La mamma però è sempre la mamma e lo vorrebbe vedere felice e fuori di casa. Così per il suo compleanno insieme al suo amante gli regalano un bel cappellone texano e delle lezioni di line-dancing per distrarsi un po’ e magari conoscere persone nuove. Niente di più lontano dai gusti di Fusi, il quale riluttante va alla prima lezione ma non trova il coraggio e resta parcheggiato fuori. Lì pero si imbatte in una ragazza del corso, l’allegra e impronunciabile Sjöfn, e le dà un passaggio a casa. Da qui i prevedibili sviluppi della storia.
Meno prevedibile è la grave depressione a singhiozzo di cui soffre Sjöfn e che le impedisce di portare avanti qualsiasi lavoro, per non parlare di una relazione.
La storia non è delle più originali, ma questo film gioca molto sulle sfumature del personaggio di Fusi la cui sua stazza e apparente immaturità lo costringono a essere inscatolato nei classici stereotipi che tormentano le persone sovrappeso, goffo, maleodorante, sessualmente inetto, forse anche molestatore. È il tipico film di cui Hollywood farebbe volentieri un remake, patinando tutto, mettendo un paio di attori famosi, una ragazza più 'carina' e ne verrebbe fuori un film totalmente irrilevante.
La regia di Kari invece è delicata, non giudica e non suggerisce, si sofferma sui faccioni di Fusi lasciando spazio all’abilissimo Gunnar Jónsson di giocare con le sfumature delle espressioni, le pause e i piccoli gesti. Ilmur Kristjánsdóttir mostra una buona alchimia con Jónsson e tratteggia gli umori di Sjöfn con bravura, dall’entusiasmo alla disperazione.
Ci sono dei momenti molto divertenti, di quel bizzarro umorismo un po’ surreale e claustrofobico tipico dei paesi scandinavi: gli spezzoni di dialoghi tra la madre di Fusi e le sue clienti, l’amico di Fusi che non permette ai figli di giocare con i suoi “giocattoli”, la disarmante ingenuità di Fusi e la bambina vicina di casa che ricopre con simpatia il ruolo de “la voce dell’innocenza”, buttando in faccia a Fusi stralci di imbarazzanti verità ma anche un affetto non ancora sporcato dai luoghi comuni.

Virgin Mountain in realtà non è la storia di una relazione sentimentale, è la storia e il ritratto di Fusi, un uomo solo ma capace di grande empatia e determinazione, un quieto trattore che maneggia una piuma e scopre di saperlo fare con un’abilità che viene diretta dal cuore.


Il nostro giudizio: Il nostro giudizio è 3

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Video

Adriana Rosati

Segnata a vita da cinemini di parrocchia e dosi massicce di popcorn, oggi come da bambina, quando si spengono le luci in sala mi preparo a viaggiare.

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