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In Fabric - Recensione (London Film Festival 2018 - Official Competition)

Un carosello visivo tutto da godere, ricco, colorato e condito di un voyeurismo perverso e sarcastico: dopo The Duke of Burgundy e Berberian Sound Studio, Peter Strickland si conferma uno degli autori più interessanti del panorama inglese

Ci sono registi che hanno uno stile molto personale non solo nella regia ma anche una visione estetica ben precisa ed un immaginario particolare che ripropongono e applicano nel loro processo creativo. Uno di questi è il britannico Peter Strickland, che ha creato dei piccoli universi intrisi di sensualità, umorismo e nostalgia nei suoi film Berberian Sound Studio e The Duke of Burgundy, e che ora partecipa al London Film Festival nella Official Competition con il suo ultimo lavoro, In Fabric.
L’universo Strickland si rifà molto ad un’estetica Anni '70 molto britannica e anche in questo film ritroviamo la stessa atmosfera e le stesse ossessioni ma con una rinnovata vena comica e originalità.
Bisogna premettere che In Fabric è posizionato in un tempo indefinito, quasi un’altra dimensione, in cui alcune cose e luoghi hanno un'aria vintage, altre sono contemporanee e altre ancora sono decisamente Anni '70, come i telefoni, le televisioni e i quotidiani con buffi articoli e annunci.
La sequenza iniziale di fermo-immagini che accompagna i titoli è un gustoso anticipo di quello che verrà, un po’ come i trailer del passato. Sheila (Marianne Jean-Baptiste) è una cinquantenne divorziata che lavora in banca e ha un figlio adolescente che passa più tempo di quello che dovrebbe chiuso in camera con la sua invadente ragazza Gwen (Gwendoline Christie), molto più grande (e alta!) di lui, sperimentando nuove attività e arricchendo la sua educazione sessuale, piuttosto che quella scolastica.
Sheila non si è ancora ripresa dal divorzio e non ha ancora incontrato nessun uomo. Decide quindi di mettere un annuncio sulla pagina di cuori solitari e in vista di un appuntamento si reca al Dentley & Soper’s Trusted Department Store, una specie di Rinascente ferma agli Anni '70, che in quei giorni sta ipnoticamente pubblicizzando in TV i suoi saldi. Lì è accolta da Miss. Luckmore (Fatma Mohamed, apparsa già in tutti i film di Strickland) che vestita come una Baba Yaga di Crepax, con un forte accento straniero e un divertente modo di parlare, arcaico e altisonante, la introduce al “paradigma della vendita al dettaglio”. Sheila torna a casa con un bel vestito di chiffon rosso, ma dopo il primo appuntamento galante (anche questo molto divertente) seguiranno una serie di sventure legate a questo indumento che sembra possedere dei poteri nefasti. Per un gioco del caso il vestito passa in seguito a Reg (Leo Bill), un tecnico delle lavatrici che è forzato ad indossarlo per il suo addio al celibato dai suoi compari in una tipica esibizione di mascolinità aggressiva. E anche lui e la sua fidanzata Babs (Hayley Squires, un talento in ascesa nel Regno Unito) ne diverranno vittime.
Gli spunti feticisti sono tanti e spesso molto divertenti. Dai manichini, una presenza fissa nei film di Strickland, che animano le notti erotiche del personale del Dentley & Soper’s, alla geniale trovata per cui, qualsiasi volta Greg cominci a parlare in termini tecnici di lavatrici, si scatena un’estasi erotica nell’ascoltatore. Per non parlare dei due manager al lavoro di Sheila, una coppia gay che con fare molto britannico redarguisce la donna sulla poca assertività della sua stretta di mano e propone a chiunque di fare un role-play travestito.
Al di là della facile metafora sui pericoli del consumismo e la critica allo schermo di perbenismo incarnato dal Grande Magazzino, qui il contesto e il mezzo sono più preponderanti del messaggio stesso. Se Dario Argento avesse illustrato il catalogo Postalmarket in versione soft porn, sarebbe andato molto vicino a In Fabric che è un carosello visivo tutto da godere, ricco, colorato e di un voyeurismo perverso e sarcastico che, come il vestito rosso, ti si appiccica addosso lasciando il segno e animandosi di vita propria.
La musica ha la stessa importanza dell’estetica nei film di Strickland, addirittura il suo Berberian Sound Studio è la storia di un uomo che produce effetti sonori per film dell’orrore a Roma negli Anni '70 (decisamente Dario Argento è una sua ispirazione) e anche in In Fabric la colonna sonora creata dalla Cavern Of Anti-Matter è ipnotica ed estremamente atmosferica.

Originale e deviatamente divertente, In Fabric è stato una ventata di colore in una selezione del festival dominata da film impegnativi e pesanti o piuttosto commerciali, senza però farne un contendente meno pericoloso.




Il nostro giudizio: Il nostro giudizio è 3.5

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Adriana Rosati

Segnata a vita da cinemini di parrocchia e dosi massicce di popcorn, oggi come da bambina, quando si spengono le luci in sala mi preparo a viaggiare.

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