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Destroyer - Recensione (London Film Festival 2018 - Official Competition)

Nicole Kidman nei panni di una detective tormentata e sgraziata: deriva autodistruttiva e sete di vendetta per un film con una storia debole e personaggi poco delineati

Nella patinata e perfetta Tinseltown si leva sempre un “Oh” di meraviglia e ammirazione quando gli attori, ma soprattutto le attrici, per la parte si trasformano in una versione di se stessi ritenuta peggiore, per esempio più grassi, più rugosi, più vecchi. C’è chi non ama sottoporsi a queste trasformazioni e chi ne ha fatto un punto di forza, come Nicole Kidman che abbiamo visto diversa dalla sua immagine ufficiale in The Hours e ultimamente in Top of the Lake, con (orrore!) i capelli bianchi. Anche nel caso della sia ultima apparizione in Destroyer, il film della regista Karyn Kusama, in Official Competition al London Film Festival 2018, il clamore per il suo cambio di immagine ha quasi superato ogni altra voce concernente il film stesso.
La Kidman è Erin Bell, una detective di Los Angeles, danneggiata da un passato che la tormenta da 17 anni e di cui porta i segni sul volto stanco dall’espressione cinica e accigliata. Poco curata, sgraziata e spesso ubriaca, la vediamo dormire in macchina e procedere sempre con passo da dopo-sbornia. C’è un cadavere appena trovato dalla polizia di Los Angeles e ci sono alcuni segni, un tatuaggio particolare sul collo e delle banconote macchiate di inchiostro viola che Erin nota immediatamente e subito capiamo che la donna sa esattamente chi sia il cadavere e perché sia lì.
La narrazione del film è basata su un’alternanza di presente e passato, presentato in forma di flashback che lentamente rivelano il vissuto della detective. 17 anni prima Erin e il collega Chris (Sebastian Stan) fingendo di essere amanti, si erano infiltrati per l’FBI in una banda di rapinatori violenti e senza scrupoli che agivano nel deserto californiano con l’intento di sventare un pericoloso colpo e arrestarli. Ma qualcosa era andato estremamente storto e la figura di Silas (Toby Kebbell), lo spietato capo del gruppo, aveva continuato a tormentare Erin per tutti questi anni in cui i membri della banda si erano disciolti e dati alla latitanza. Ma il temibile Silas è ora riapparso, è tornato ad animare gli incubi di Erin e probabilmente sta ordendo un nuovo colpo. La detective comincia così una ricerca ossessiva e dalle modalità poco ortodosse dei membri della banda per poter risalire al loro capo. Parallelamente le si presenta anche un problema famigliare quando la figlia diciassettenne prende una deriva pericolosa con un rozzo ceffo molto più grande di lei e Erin affronta la questione con quella stessa rabbia e risentimento che la caratterizzano.
L’asse del film è senza dubbio la protagonista intorno alla quale ruota tutto il costrutto circolare di questa narrazione che si affida molto, anche troppo, all’atmosfera cupa e di presagio che lo pervade fin dall’inizio. Il film è un crescendo alternato di ansia di vendetta e di rivelazione dei motivi di questa vendetta e Erin procede come una sonnambula stordita, eliminando sistematicamente ogni ostacolo che le si para davanti.
Nicole Kidman fa un gran lavoro e la sua presenza sullo schermo è poderosa, l’eccentricità del personaggio femminile così insolito ha un effetto da collante di attenzione, anche se in fondo abbiamo visto migliaia di versioni maschili dello stesso detective ossessivo/distruttivo, divorato da rimorsi e sensi di colpa. Questa enfasi sul personaggio di Erin però va a discapito dello sviluppo degli altri personaggi (maschili) e soprattutto di Silas che dovrebbe essere il suo degno oppositore. In una delle primissime scene Erin esclama solenne: “Silas è tornato”. È una battuta carica di aspettative, ci fa capire subito che Silas è la sua nemesi, il fantasma che infesta le sue notti e ci si aspetta un bel personaggio, cattivo come il demonio e geniale come il Keyser Söze de I soliti sospetti. Ma l’attesa che si trascina per tutto il (lungo) film non viene infine ripagata e Silas non ne esce certo come un genio del crimine. Tra l’altro, a mio avviso, anche a causa di un casting poco azzeccato perché Toby Kebbell, ad essere onesti, sembra più imbambolato che indemoniato.

I film come Destroyer, con uno sviluppo narrativo a ritroso, sono difficili da gestire perché hanno la tendenza a giocarsi le carte migliori all’inizio. Quello che il film non riesce a fare è a convincere che i fatti del passato giustifichino del tutto la potente deriva autodistruttiva e la sete di vendetta della protagonista, ovvero il film stesso. Se togliamo l’aura estremamente noir, la musica tormentata, e tutte le sovrastrutture atmosferiche, quello che resta, in fondo, è una trama debole e dei personaggi collaterali velocemente delineati. Un’occasione non del tutto sfruttata perché avrebbe potuto funzionare e si sentono delle buone premesse ma una regia non supportata dalla sceneggiatura.
Inoltre, senza togliere nulla alla bravura di Nicole Kidman e al suo encomiabile impegno per un cinema con una maggiore partecipazione femminile, non riesco a smettere di chiedermi se un personaggio femminile che ripropone uno stereotipo maschile e una serie di personaggi maschili senza né spessore né interesse siano il giusto modo di promuovere la parità di genere a Hollywood. In ultimo vorrei anche aggiungere che la Kidman è più bella da 'brutta' in Destroyer che nella versione 'femme fatale' che ama esporre sui Red Carpet.




Il nostro giudizio: Il nostro giudizio è 2.5

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Adriana Rosati

Segnata a vita da cinemini di parrocchia e dosi massicce di popcorn, oggi come da bambina, quando si spengono le luci in sala mi preparo a viaggiare.

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