The Bold, the Corrupt and the Beautiful - Recensione (London East Asia Film Festival 2018)
- Scritto da Adriana Rosati
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Il 2017 è stato un buon anno per l’industria cinematografica di Taiwan che ha sfornato degli ottimi film, come The Great Buddha+, Mon Mon Mon Monster, Alifu the Prince/ss, Small Talk, Who Killed Cock Robin? e l’animazione On Happiness Road. A questa lista si aggiunge con merito The Bold, the Corrupt and the Beautiful, l’ultimo film del regista Yang Ya-che che si è spostato dalla sua 'comfort zone' di trame più adolescenziali per mettere insieme un gangster-thriller, elegante e spietato, tutto femminile. Il film è in competizione al London East Asia Film Festival 2018 (LEAFF) ed è un’altra riprova della bravura della veterana di Hong Kong Kara Wai, che sembra stia avendo una ripresa di carriera in età più matura con i recenti successi Mrs K e Happiness.
Il titolo, che fa quasi pensare ad un western, è una delle solite bizzarrie trans-nazionali visto che il titolo cinese si traduce Regina di sangue, ma descrive fedelmente gli ingredienti di questo dramma famigliare di potere e bramosia, ambientato all’inizio degli Anni '90.
Il clan in questione è quello dell’ambiziosa Madame Tang (Kara Wai) e le sue due figlie, la maggiore Ning (Wu Ke-xi), una ragazza ormai moralmente danneggiata dalla madre fino al punto di non ritorno, e la piccola e più innocente Chen-chen (Vicky Chen) ma non meno furba e cosciente di quello che le succede intorno. Il collante di questa famiglia non è né amore né rispetto bensì una sconfinata ambizione e sete di potere, ricchezza e controllo. Madame Tang è infatti una donna bella e manipolativa che ha costruito un piccolo impero basato su profitti di speculazioni edilizie che le permette di vivere nell’agio. Ora ha posato lo sguardo su di una bella fetta di un simile impiccio e sta lavorandosi dei funzionari della pubblica amministrazione con il suo fascino e il suo potere, una cosa che le riesce molto bene. Un giorno un incidente automobilistico stermina uno degli amici di Tang e tutta la sua famiglia lasciando solo la figlia adolescente, unica superstite in coma tra la vita e la morte. Lentamente però, grazie ad un onesto investigatore, Capitan Liao (Jun Fu), l’incidente comincia a prendere le sembianze di un omicidio che, coincidenza, si è rivelato provvidenziale a Madame Tang e inoltre c’è una grossa somma di denaro misteriosamente scomparsa. L’unica testimone che potrebbe fare chiarezza è la ragazza in coma e con ansia si aspetta di sapere se ne uscirà per raccontare la sua versione. Liao però non è immune al fascino di Ning che ha già teso la sua tela di ragno.
Gli intrecci, le conversazioni ammiccanti, i doppi giochi, le bugie, formano la fitta trama della narrazione che si svolge tra eleganti saloni, feste e maneggi. C’è una quantità di riferimenti alla politica e alla storia recente taiwanese che sono destinati a sfuggire alla maggioranza del pubblico, a meno che non si abbia una competenza specifica, e alcuni degli intrecci della sceneggiatura si rigirano su se stessi rimanendo un po’ fumosi, ma in generale la storia riesce a mantenersi stimolante e avvincente fino in fondo. Ma il vero punto di forza del film sono i tre personaggi del clan Tang, ben approfonditi e sfaccettati, il loro universo interiore complesso e conflittuale. Dietro la facciata di rispettabilità che Madame Tang mantiene sempre perfetta, dietro i sorrisi e dietro i vestiti delle tre donne sempre abbinati come in una grottesca matrioska vivente, si agitano riflussi di veleno, colpa e autolesionismo. Le dinamiche di potere e controllo nell’ambito famigliare sono nelle mani della matriarca che con il sottile e falso ricatto morale “lo faccio per il vostro bene” tiene incatenate a sé le figlie, la grande in preda ad una missione distruttiva si anestetizza dal dolore con droga e sesso e la piccola cammina sul cornicione che separa la sanità mentale e morale dal baratro in cui la sua famiglia la sta trascinando. Le interpretazioni delle attrici sono tutte di gran rilievo e rappresentano una buona parte del piacere di questo film. Piacere dovuto anche al ribaltamento di genere di una narrativa che spesso ci è proposta al maschile.
L’atmosfera è patinata e lussuosa e l’eccellente lavoro di scenografia e costumi mostra una suggestiva Taiwan 'upper class' dell’inizio degli Anni '90. Le fasi salienti della storia sono commentate da un inquietante trio di anziani musicisti ciechi, come un coro di Teatro Greco, in uno studio televisivo dai colori 'pop' che mi ha fatto ponderare se avesse qualche significato folkloristico che mi sfugge. Ma a parte qualche dettaglio criptico, nell’insieme The Bold, the Corrupt and the Beautiful, con il suo mix di thriller e psicologia risulta molto avvincente e ben costruito.
http://linkinmovies.it/cinema/asia/the-bold-the-corrupt-and-the-beautiful-recensione-london-east-asia-film-festival-2018#sigProIdd18cc907a7
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Adriana Rosati
Segnata a vita da cinemini di parrocchia e dosi massicce di popcorn, oggi come da bambina, quando si spengono le luci in sala mi preparo a viaggiare.
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