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Ryuzo and His Seven Henchmen - Recensione

Takeshi Kitano dopo i cupi Outrage e Beyond Outrage torna con Ryuzo and his Seven Henchmen, un film leggero dall’umorismo 'petofilo' che omaggia con affetto i vecchi gangster-movie quando onore e dedizione erano più importanti di cupidigia e tecnologia

C’è stato ultimamente un fiorire di film in cui attempati eroi dimostrano che c’è più che un campo di bocce e un tavolo di Tressette nella vita post-pensionamento. Franchising come Red ed The Expendables soddisfano la voglia collettiva di non invecchiare mai e sono anche un veicolo per riciclare vecchie e amate star. Gli anziani cattivoni protagonisti di Ryuzo and His Seven Henchmen, ultima fatica di Takeshi Kitano, sono però più Banda degli onesti o Soliti ignoti delle loro controparti hollywoodiane.
Ryuzo (Tatsuya Fuji, una vecchia gloria del cinema giapponese, protagonista tra gli altri di Ecco l’impero dei sensi, L’impero della passione e Bright Future) è un nonno poco affettuoso, dal passato turbolento di membro di una 'famiglia' yakuza che non si rassegna a starsene tranquillo in panchina. Oltre a terrorizzare i bambini del quartiere e insultare la nuora, Ryuzo passa il tempo in canotta e tatuaggi della mala in bella vista, allenandosi con il bokken, la katana di legno, sotto gli occhi contrariati del figlio, un tipico onesto salaryman giapponese, il quale si vergogna molto del passato paterno. Lasciato solo a badare alla casa per una settimana, Ryuzo viene messo in mezzo da piccoli truffatori che tentano di estorcergli dei soldi fingendosi colleghi del figlio. Questo episodio che si conclude comicamente e senza conseguenze dà però modo a Ryuzo e al suo vecchio compagno di avventure Masa (Masaomi Kondo) di riflettere sulla maldestra malavita dei giorni moderni che agisce senza cervello e soprattutto senza il codice d’onore così importante per la yakuza della vecchia scuola. Decidono così di rimettere insieme la famiglia, stanando i vecchi amici da ospedali e ospizi. Tutti insieme come un tempo come fossero dei ragazzi, si stabiliscono e bivaccano nell’appartamento di Masa e cominciano a punzecchiare con ilari conseguenze le nuove generazioni della mala. I gregari di Ryuzo hanno tutti una specialità in cui eccellono (o eccellevano, direi). C’è il mago del rasoio ma non chiedetegli di farsi la barba, l’attivista, il samurai, c’è Mac (da Steve McQueen), l’unico con una pistola che brandisce con mani tremolanti e c’è persino l’assassino delle toilet. È divertente che i flashback sulla gioventù dei membri della gang siano girati in bianco e nero emulando i vecchi film giapponesi di genere.
Lo stesso Takeshi Kitano appare brevemente un paio di volte come un poliziotto che ricorda molto il Tenente Colombo e che chiude un occhio ogni tanto avendo anche lui giocato con loro a guardie e ladri nei gloriosi vecchi tempi.
Il film è divertente, con gag tipiche della commedia classica, tipo l’amante chiuso in bagno, travestimenti grotteschi e via dicendo e nostalgico di una vecchia, 'sana' yakuza. Ma forse ricorda con affetto e rimpiange anche il vecchio cinema di gangster con storie più umane e meno dominate da tecnologia ed effetti speciali. Avevo una gran voglia di vedere questo film e di farmelo piacere e mi sono divertita molto, ma in tutta onestà mi ha lasciato leggermente delusa.
Ryuzo and His Seven Henchmen è una serie di scenette divertenti che però debolmente si intrecciano a creare un film compiuto. Ora che ci penso funzionerebbe benissimo come serial televisivo, di quelli con gli episodi corti da 20 minuti. Come film però resta un po’ sospeso e alla fine lascia una sensazione di incompiutezza. Alcuni punti però li guadagna per la simpatia delle gag e soprattutto dei protagonisti, che non si possono non amare.

Come dice Ryuzo in un azzardato paragone: “La yakuza è come il baseball. È divertente giocare ma tristissimo quando smetti”. Chissà che Kitano non voglia dirci che ha paura di andare in pensione.


Il nostro giudizio: Il nostro giudizio è 3

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Adriana Rosati

Segnata a vita da cinemini di parrocchia e dosi massicce di popcorn, oggi come da bambina, quando si spengono le luci in sala mi preparo a viaggiare.

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