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Venezia 81: giorno 7. Cronache di cinema e molto altro

Un resoconto fatto di news, rumors, eventi, volti, chiacchiere, battute, dichiarazioni e ovviamente cinema per spiegarvi bene cosa significa vivere ogni giorno la 81a Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica. Oggi parliamo di un po’ del concorso, di Phantosmia e di una conferenza stampa che era iniziata male, ma poi ha regalato alcuni momenti interessanti

Venezia 81 è giunta oltre la metà del suo percorso. Con oggi, martedì 3 settembre sono stati presentati 13 film del concorso (Maria, El Jockey, Babygirl, Trois Amies, Leurs enfants aprés eux, Campo di battaglia, The Order, The Brutalist, I’m Still Here, Vermiglio, The Room Next Door, Queer e Harvest) sui 21 disponibili e ciò vuol dire che questi ultimi giorni saranno davvero intensi. Mancano all’appello Jouer avec le feu di Delphine e Muriel Coulin; Jocker: Folie à deux di Todd Phillips; Diva Futura di Giulia Steigerwalt; April di Dea Kulumbegashvili; Iddu di Fabio Grassadonia e Antonio Piazza; Stranger Eyes di Siew Hua Yeo; Youth: Homecoming di Wang Bing; Love di Dag Johan Haugerud. Otto lungometraggi che potrebbero conquistare la giuria come anche non compromettere alcune scelte già prese. È un po’ presto, però, per dare una forma al palmares di Venezia 81 anche perché nella definizione dei premi subentra il valore umano ed emotivo dei componenti della giuria e soprattutto della presidente Isabelle Huppert. A riguardo di possibili Leoni d’oro, le prime valutazioni della stampa ci dicono che fino a ieri I’m Still Here di Walter Salles ha conquistato tutti e anche io gli ho già messo in mano il premio più importante. Fino a ieri, però. The Room Next Door, primo film in lingua inglese di Pedro Almodóvar, è arrivato nel concorso e ha tolto al film brasiliano il virtuale alloro, conquistando in particolare la stampa italiana. È un’opera sofferta ispirata al romanzo What Are You Going Through di Sigrid Nunez che affronta il tema del fine vita e lancia un grido di allarme a difesa del pianeta in cui viviamo. Lo stesso regista spagnolo ha affermato in conferenza stampa: «The Room Next Door è un film a favore dell’eutanasia: la Spagna è il quarto paese europeo ad avere una legge sull’eutanasia ma credo sia urgente che questa legge esista in tutto il mondo. Viviamo in un mondo pieno di pericoli: il cambiamento climatico non è uno scherzo. E non so quante dimostrazioni occorrano ancora per essere sicuri che sia reale. Il film parla di una donna agonizzante in un mondo che probabilmente è anch’esso agonizzante. Credo che l’unica soluzione, per quanto sembri pretenziosa, sia che ognuno, a partire da casa propria, si esprima contro tutto questo negazionismo». È importante l’appello di Almodóvar contro chi nega i cambiamenti in atto nel mondo e come questo ormai non essendo più quello del Novecento, deve essere interpretato con nuovi strumenti, occhi e menti. Il tema dell’eutanasia, inoltre, è vicino alla poetica del regista considerando film come Parla con lei e Volver; in relazione, poi, a una riflessione più introspettiva sulla morte quest’ultimo lavoro del regista spagnolo si avvicina anche a Gli abbracci spezzati, film da cui Almodóvar ha ragionato sugli stessi temi di Dolor y gloria e Julieta che nel dramma privato annunciava quel che poi in Madres paralelas il regista ha assolutizzato sui caratteri nazionali. The Room Next Door, quindi, è la netta conseguenza di questa parte della filmografia dell’autore spagnolo perché intende l’eutanasia come una fine dignitosa, ponendosi così contro le terapie che possono risultare controproducenti. È un film politico? Dipende che vuol dire questa frase ossia se il film riesce oltre la storia, oltre la sua immagine, oltre all’empatia, a proporsi come un momento di profonda riflessione. È sicuramente un film che definisce questa Mostra del Cinema. 

E questo pensiero ne scaturisce un altro. The Room Next Door parla nettamente della contemporaneità, ma anche altri film di Venezia 81 lo fanno, solo che guardano il presente attraverso la storia. The Order ritorna all’inizio degli anni Ottanta negli Stati Uniti per pensare all’onda suprematista bianca che con il governo di Donald Trump ha trovato la sua nuova ascesa. I’m Still Here tocca il passato non troppo recente della storia del Brasile, gli anni della dittatura, forse per capire anche come un amico di Trump, Jair Bolsonaro sia riuscito a governare il Paese. Campo di battaglia, invece, è una riflessione sulla Prima guerra mondiale che noi italiani ancora ricordiamo come un atto atroce di annientamento umano; Vermiglio a modo suo è il recupero di una storia particolare che può essere assimilata a tante altre nell’Italia in guerra negli anni Quaranta; poi c’è The Brutalist di Brady Corbet che racconta la storia dell’architetto ebreo ungherese, Laszlo Toth (interpretato da Adrien Brody), sopravvissuto ai campi di concentramento e arrivato negli Stati Uniti da immigrato. Toth è stato un architetto brutalista che oltre Oceano portò gli elementi di questo stile di costruire prettamente britannico e prettamente anni Cinquanta (per capire il movimento brutalista date un’occhiata alla mitica Torre Velasca dello studio BBPR a Milano). Queste pellicole sono accomunate dal fatto che il cinema considera il passato, per interrogare il presente. Non sono reportage o documentari, ma narrazioni di finzione che impiantano un seme nella mente di chi sta guardando sulla validità di quei racconti ancora oggi. Anche Harvest di Tsangari trova le sue radici cinematografiche al termine del Settecento, per domandarsi da dove nasce la nostra modernità. Una bella traccia di analisi finora del Concorso che è saltata un po’ fuori a sorpresa dal momento che nessuno della direzione della Mostra ha mai pensato di porla in evidenza nelle settimane passate. 

E il cinema? Eccolo! Nella giornata di Queer di Luca Guadagnino e di Harvest di Athina Rachel Tsangari (che recupero domani), ho preferito chiudermi in sala per 4 ore, precisamente per 204 minuti, per vedere Phantosmia di Lav Diaz. Già nelle cronache di ieri ve ne ho parlato, restituendovi quanto detto in conferenza stampa. La storia si concentra su Hilarion Zabala, un ex sergente dell’esercito filippino che ha partecipato attivamente come braccio armato dello Stato in quel 1979 sconvolto da notevoli scontri tra cattolici e musulmani e tra il regime e i dissidenti comunisti. Zabala ha sparato molto, ha ucciso a sangue freddo, ha servito la sua nazione con grande zelo e dopo anni ne porta addosso i traumi che si manifestano in una puzza che sente costantemente. Un medico gli dice che quell’odore nauseante è il modo con cui il suo cervello somatizza il suo passato, quindi per guarire deve tornare a vivere nella colonia penale di Pulo. Zabala ci torna e si adegua a ricoprire qualsiasi mansione agli ordini del maggiore dell’esercito che comanda. All’interno però di quel mondo scopre sopraffazioni e soprusi forse anche peggiori di quelli da lui perpetrati da giovane. Il protagonista, dunque, compie un viaggio di redenzione, un viaggio di purificazione che il protagonista intraprende attraverso uno strumento necessario che è la scrittura di autoanalisi, il mettere nero su bianco i propri pensieri, così da giungere a una nuova consapevolezza di sé. Hilarion, infatti, è come Dante che compie il suo percorso attraverso i regni ultraterreni di Inferno e Purgatorio per giungere al suo Paradiso. L’Inferno del sergente dell’esercito è il suo passato che ritorna nella sua sindrome; il Purgatorio è la realtà di prevaricazione e dolore riscontrata in chi abita fuori dalla colonia penale; il suo Paradiso, l’approccio a Dio, è in lui stesso che si eleva al termine del suo viaggio a entità superiore, a giudice supremo in grado di ristabilire giustizia e ordine. E questo percorso da dove parte? Sempre dal passato, collegandomi così a quanto detto prima. Diaz in realtà non è nuovo a questa riflessione in quanto nella sua filmografia ha più volte parlato della storia delle Filippine. Anche la metafora della malattia che compromette il corpo, è uno spunto narrativo già espresso, ad esempio, nella psoriasi di cui è affetto il protagonista di When the Waves Are Gone. Il corpo degli uomini porta il segno e ricorda continuamente quanto compiuto. Phantosmia può sembrare, dunque, il solito film di Diaz. Ammesso che ciò sia vero, è, in ogni caso, una gran fortuna per il cinema di oggi avere un autore che utilizza il cinema come canale di riflessione. Poi, anche se è vero che in questo film è proposto tutto il suo linguaggio e le sue storie, ciò avviene perché è la sua poetica che si esprime così e in ogni caso considerando il cinema di oggi, rimane ancora molto originale. L’inquadratura fissa e prolungata che cristallizza la vita di gente perduta che non riesce, apparentemente, a scappare al suo destino; l’uso della poesia e della parola come espressione delle sue meditazioni sui tempi; il carattere naturalistico con cui i suoi attori si impossessano dei loro personaggi; la costruzione della vendetta che nei suoi ultimi film sta diventando sempre più feroce e tremenda; e poi la capacità che ha il cinema di Diaz di immergere chi guarda in quel momento, in quel frangente che sconfina oltre lo schermo del cinema. Per il cinema di oggi tutto questo è ancora tantissimo. Quindi, come ho detto nella puntata a lui dedicata del nostro podcast, per fortuna che c’è il cinema di Lav Diaz. 

La voce della sala stampa. Quando sono entrato nella sala conferenze stampa oggi per seguire l'incontro per Queer di Luca Guadagnino non volevo parlarvene, perché fino a metà è stata noiosetta. Ci sono state le lodi del regista agli attori, soprattutto a Daniel Craig e Drew Starkey, i due protagonisti; gli attori poi hanno espresso a parole il grande onore e piacere da loro provato per aver lavorato con Guadagnino. Poi si è parlato delle scene di sesso omosessuale che tanto stanno facendo discutere e di come lo sceneggiatore Justin Kuritzkes abbia riadattato l’omonimo romanzo di William S. Burroughs. Tutte affermazioni e spiegazioni dovute, per carità, che rientrano nella classicità di queste interviste. Poi una giornalista australiana ha domandato a Daniel Craig, il volto di James Bond, se ci potrà mai essere un James Bond gay. Ha risposto Gaudagnino, a mio parere un pochino irritato dalla domanda, chiedendo a tutti i presenti di comportarsi come adulti. Ha detto che nessuno mai potrà sapere quali sono i desideri di James Bond (è partito l’applauso) e poi l’importante è che l’agente di Sua Maestà porti a termine le proprie missioni e qui si è lasciato andare, ridendo, a una carezza a Daniel Craig che se la rideva sotto i baffi. Ho apprezzato la risposta del regista. Da questo momento la conferenza stampa si è ripresa e Craig ha affermato che da vent’anni voleva lavorare con Guadagnino. Voleva essere in questo film e ha apprezzato il metodo di lavoro del regista che, durante le riprese, ha sempre cercato di capire costantemente cosa l’attore inglese pensasse in merito al suo personaggio. Un altro momento di sussulto si è presentato quando un giornalista greco ha chiesto al regista italiano se considerando anche i suoi film precedenti, sia attratto dalle dipendenze. Il regista ha risposto che la sera va a letto presto, che non ha mai assunto droghe e che ha perso 15 kg grazie a una dieta. Quindi questo è il suo rapporto con le dipendenze. Ha aggiunto che gli piace vedere senza giudicarle, perché anche la persona peggiore può migliorare. Devo dire che apprezzo in Guadagnino la sua capacità di argomentare le risposte, spiegando bene i suoi film e i messaggi contenuti con parole precise e misurate, senza mai cadere nei tranelli o nelle domande a doppio taglio. 

 Altro ancora (più brevemente)

  • Ieri, 2 settembre, è stato attribuito al regista, sceneggiatore e produttore francese Claude Lelouch il premio Cartier Glory to the Filmmaker dell’81a Mostra del Cinema dedicato a una personalità che abbia segnato in modo particolarmente originale il cinema contemporaneo. La consegna è avventura in Sala Grande prima della proiezione Fuori Concorso del suo nuovo film, Finalement
  • Fonti certissime mi hanno detto che oggi è giunto a Venezia Takeshi Kitano. Pare che alloggi in città e al Lido non si è fatto vedere. La fonte certissima mi ha anche detto che svolgerà una scarsa attività stampa. Il suo film, Broken Rage (Fuori Concorso) sarà presentato alle 17 del 6 settembre in Sala Grande e quindi ci sarebbe il tempo per il maestro di concedersi ai giornalisti, ma pare che non ne abbia molta voglia. Poi Kitano è abbastanza imprevedibile, quindi è possibile che queste certezze svaniscano o diventino concrete. Vi tengo informati.

Per oggi è tutto. Ci sentiamo tra circa ventiquattr’ore per discutere sul giorno 8 della Mostra del Cinema.

Crediti fotografici

Foto 1 PHOTOCALL-PHANTOSMIA-Film Delegation - Credits G. Zucchiatti La Biennale di Venezia - Foto ASAC - 2

Foto 2 RED CARPET - THE ROOM NEXT DOOR - Director Pedro Almodovar - Credits Giorgio Zucchiatti La Biennale di Venezia-Foto ASAC(2)

Foto 3 PHANTOSMIA-Actor Ronnie Lazaro-1

Foto 4 PRESS CONFERENCE - QUEER - Luca Guadagnino e Daniel Craig - Credits G. Zucchiatti La Biennale di Venezia - Foto ASAC 

Foto 5 PHOTOCALL - PHANTOSMIA - Actor Ronnie Lazaro - Credits G. Zucchiatti La Biennale di Venezia - Foto ASAC(3)


  
Davide Parpinel

Del cinema in ogni sua forma d'espressione, in ogni riferimento, in ogni suo modo e tempo, in ogni relazione che intesse con le altri arti e con l'uomo. Di questo vi parlo, a questo voglio avvicinarci per comprendere appieno l'enorme e ancora attuale potere di fascinazione della settima arte.

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