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Venezia 81: giorno 9. Cronache di cinema e molto altro

Un resoconto fatto di news, rumors, eventi, volti, chiacchiere, battute, dichiarazioni e ovviamente cinema per spiegarvi bene cosa significa vivere ogni giorno la 81a Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica. Oggi parliamo di ruoli femminili e ruoli maschili, di Stranger Eyes e di un film italiano che mi ha annoiato

Oggi finalmente è arrivata la pioggia al Lido. Non che in realtà sia una bella notizia, perché questa provoca disagi notevoli all’organizzazione, dal momento che la maggior parte delle attività della Mostra (red carpet, photocall, sfilate varie, interviste) si svolgono all’aperto o comunque in zone scoperte. La problematica della pioggia investe anche il pubblico degli accreditati che non è pronto all’acqua, visto che al Lido piove una volta ogni 3-4 anni. Poi l’ombrello, l’impermeabile e quant’altro serva per ripararsi, condizionano in maniera sgradevole anche l’entrata e l’uscita dalle sale. Comunque, considerando il super caldo dei giorni scorsi, ho apprezzato la pioggia, quindi mentre stamattina stavo camminando a fianco del Palazzo del Cinema, litigando con il vento che mi stava distruggendo l’ombrello, ho notato che non c’era nessuno accampato lungo il parapetto che separa la strada dal tappeto rosso in previsione delle presentazioni dei film di oggi. Mentalmente ho ripercorso la notevole passerella compiuta ieri da Lady Gaga, pardon, Stefani Germanotta, per la premierà di Joker: Folie à deux. È arrivata a piedi dall’Hotel Excelsior, perché la sua voluminosa gonna a pieghe e il suo bizzarro cappello non ci stavano nell’auto; era attorniata da un codazzo senza fine di guardie del corpo, fotografi e gente in estasi. Un vero ingresso da star che è diventato un lungo set fotografico quando ha attraversato il red carpet. Insomma ieri alla Mostra del Cinema c’è stata una diva ed è un dato da tenere in considerazione, perché questa manifestazione è (ahinoi!) anche glamour. Pensando, quindi, a Ms Germanotta, alle sue infinite canzoni nel film di Phillips e alla sua affinità davanti la macchina da presa con Phoenix, ho realizzato che questa edizione del festival del Lido ha regalato ben poche interpretazioni femminili forti. Mi sono domandato, quindi, a parte il ruolo della cantante statunitense, che comunque rimane da coprotagonista vicino a Joker, in quali altri film ho visto in questa Mostra un bel ruolo femminile, scritto anche bene? Fernanda Torres nei panni di Eunice Paiva in I’m Still Here di Walter Salles sicuramente risponde a pieno alla domanda. Poi? Le tre attrici di Trois Amies di Mouret hanno catalizzato il pubblico con le loro riflessioni amorose. Chi aggiungo? Julianne Moore e Tilda Swinton nel film di Pedro Almodovar. Le ragazze protagoniste di Vermiglio di Maura Delpero, invece, sono schiacciate dalla presenza del personaggio del loro padre/maestro interpretato da Tommaso Ragno. Úrsula Corberó non è in realtà la protagonista di El Jockey di Luis Ortega, mentre Nicole Kidman in Babygirl è il perno narrativo del film, per quanto il suo personaggio è abbozzato nella scrittura e nella recitazione. A Venezia 81 c’è stata Angelina Jolie che forse (non lo posso dire con certezza perché non ho visto il film) in Maria ha interpretato al meglio il personaggio di Maria Callas, anche grazie alla scrittura di Pablo Larraín, uno che ha dimostrato di sapere scrivere ottimi personaggi femminili (Ema, Jackie, Spencer). Posso confidare su Ia Sukhitashvili, l’attrice georgiana che interpreta la protagonista di April di Dea Kulumbegashvili che vedrò domani.

E invece di personaggi maschili importanti da ricordare, quanti ce ne sono stati? Quanti maschi sono stati il cardine del film a Venezia 81? Dal Concorso ricordo Jude Law in The Order; Adrien Brody in The Brutalist; addirittura due in Iddu ossia Elio Germano e Toni Servillo; Pietro Castellitto in Diva Futura; Nahuel Pérez Biscayart in El Jockey; Joaquin Phoenix in Joker: Folie à deux; altra coppia Daniel Craig e Drew Starkey in Queer; Caleb Landry Jone in Harvest e infine Wu Chien-Ho e Lee Kang-Sheng in Strager Eyes. Uno (o più), quindi, in ogni film. Cosa voglio mettere in evidenza con quanto detto? Non che la Mostra del Cinema sia maschilista, né che c’è un problema di genere nell’industria cinematografica, per quanto in realtà ci sia. Quello che voglio dire è che forse il cinema dovrebbe raccontare le sue storie tenendo conto allo stesso modo dei ruoli maschili e di quelli femminili in egual misura. È ovvio che se si tratta di un film che ripercorre la vita di un determinato personaggio, sarà primaria la presenza di ruolo maschile o di quello femminile, ma in generale forse sarebbe più necessario fornire al pubblico uno sguardo fondato sulla compenetrazione dei due punti di vista, più che sulla prevalenza di uno sull’altro. Questo va sicuramente a incidere sulla visione del regista e sul punto di vista che vuole adottare. Però, senza togliere la libertà creativa a nessuno, un passo in avanti si potrebbe fare nella scrittura dei personaggi. Va bene avere un personaggio maschile principale, però quello femminile a fianco, spesso, potrebbe essere costruito con maggiori dinamiche narrative. Quanto spesso guardate un film con un personaggio femminile abbastanza stereotipato per invece vederne uno maschile molto più sfumato? Sarà un caso, forse. Eppure è una realtà. 

E il cinema? Eccolo! Ero indeciso stamattina se andare a vedere Iddu di Fabio Grassadonia e Antonio Piazza o Diva Futura di Giulia Louise Steigerwalt, entrambi film del Concorso, proiettati allo stesso orario. Alla fine ho preferito la giovane regista italiana alla sua opera seconda che racconta la storia e l’idea di amore del re del porno italiano, Riccardo Schicchi. A circa mezz’ora dall’inizio la delusione per la scelta si è palesata sul mio volto. Diva Futura purtroppo è un film estremamente sbilanciato. La prima parte scivola via con la macchina da presa che vola, un montaggio serrato, battute abbastanza divertenti e una musica costante composta di canzoni degli anni Settanta e Ottanta italiani. Se vi piace lo stile, questo film fa per voi. Sullo sfondo la storia di Riccardo Schicchi e la sua idea di fondare una società di produzione audiovisiva in cui si professasse l’amore, la libera espressione di sé, più che la pornografia in senso stretto. Al fianco la sua segretaria, interpretata da Barbara Ronchi, che avrebbe dovuto essere, in realtà, il fulcro narrativo della storia in quanto il film è tratto dal libro scritto da lei. E invece la scena se la prende Schicchi/Pietro Castellitto che offre una prova d’attore davvero incomprensibile. Il suo essere etereo, sognatore, sopra le righe è una scelta dettata dal fatto che Schicchi era veramente così, ma la volontà di scaturire la risata forzata con frasi dette come fossero battute, da dove nasce? Per tutto il film Castellitto assume una faccia quasi catatonica che unita a un tono di voce leggero e a qualche frasetta detta con dei tempi comici più o meno corretti, vorrebbe far ridere, ma in sala non rideva nessuno, io nemmeno. Inoltre, l’interpretazione buffa, sempre in imbarazzo, da maldestra pasticciona di Ronchi non si associa a quella dell’attore. In scena non c’è nessuna affinità tra i due (e qui torna il discorso di prima), e considerando che sono entrambi i protagonisti di Diva Futura, non è una buona cosa.

La seconda parte della pellicola, invece, è tutto l’opposto: lenta e piena di dialoghi lunghi. Steigerwalt, poi, si annulla, lasciando la sua regia al montaggio. In questo secondo atto, il tono drammatico dovrebbe salire dal momento che il film affronta i problemi giuridici e di malattia di Schicchi, ma non si evince, se non fosse per qualche canzone lenta in sottofondo. In più, forzare il concetto che Schicchi portò all’epoca in Italia una rivoluzione sull’idea di amore, nobilitando la pornografia, non è stata adeguatamente motivata. Per questo il film è sbilanciato, perché è disarmonico nella scelta linguistica, nello sviluppo della trama e nell’evoluzione dei personaggi che non c’è. Ciò che mi ha fatto più arrabbiare è che Steigerwalt ripropone molti stilemi linguistici rintracciabili nei film di Sydney Sibilia. Non che lui sia un maestro da imitare, ma il montaggio a rallentatore con una musica drammatica, i movimenti della macchina da presa a circondare i personaggi, una caratterizzazione ottica particolare, sono alcuni degli elementi che identificano la regia della trilogia di Smetto quando voglio, L’incredibile storia dell’Isola delle Rose o Mixed by Erry, tutti film diretti da Sibilia. Allo stesso modo Steigerwalt propone esattamente questi canoni, imitandoli malamente. Guarda caso, uno dei produttori di Diva Futura è lo stesso dei film di Sibilia, ossia Matteo Rovere di Groenlandia Group. Non vorrei arrivare a pensare che il buon Rovere voglia produrre i suoi film in serie, però ciò che sa fare Sibilia dietro la macchina da presa, non necessariamente vale per Steigerwalt. Infine, ultima osservazione. Ma Diva Futura nel Concorso di Venezia 81 che ci fa? Ma che senso ha avuto mettere un film così senza identità nella selezione ufficiale? Solo per dire che è stato selezionato per la Mostra del Cinema? E allora, abbiamo ragione quando diciamo che per un film essere in questo festival è solo una questione di facciata. Nonostante tutto questo mi auguro che Steigerwalt possa trovare una strada da regista propria e personale. 

Oggi ho visto anche un altro film del Concorso, Stranger Eyes del regista di Singapore Siew Hua Yeo, giunto alla sua opera seconda dopo la vittoria del Festival di Locarno nel 2018 con A Land Imagined. Girato a Singapore, la città con il più alto numero di telecamere pro capite, il film racconta la storia di una giovane coppia che dopo la misteriosa scomparsa della propria bambina, inizia a ricevere strani video e si rende conto che qualcuno ha filmato la loro vita quotidiana, persino i momenti più intimi. La polizia mette la casa sotto sorveglianza per tentare di sorprendere il voyeur, ma la famiglia inizia a sgretolarsi, perché emergono i segreti tanto quanto gli occhi che li guardano. Il film si fonda, quindi, sull’asse vedere/essere osservato. Tutti i personaggi osservano qualcuno, sono spiati da qualcun altro e in alcuni casi vogliono essere visti. Il vedere più oggettivo, così, quello legato al concetto di voyeurismo e allo spiare, è associato nelle dinamiche della coppia, soprattutto in riferimento alla donna, alla sua volontà di essere vista, di essere notata e considerata da qualcuno, dal momento che il marito si è allontanato da lei. Stranger Eyes è quindi un gioco di sguardi e di punti di osservazione che si sviluppa con molta lentezza e riflessione. I tempi dilatati di scene e azioni non sono un limite, ma anzi contribuiscono a creare il senso di attesa e di tensione pensato dal regista che, a ben guardare, gira un thriller, senza morti e uccisioni, ma con grandi verità che emergono a poco a poco. Ogni tassello della rivelazione più grande emerge, così, al momento giusto della narrazione. Lo spettatore si domanda, quindi, perché Lao Wu, interpretato dal grande Lee Kang-sheng in una delle poche volte in cui a dirigerlo non è Tsai Ming-liang, si apposta e filma la vita della giovane coppia, le scappatelle di lui e la solitudine di lei, come anche l’esistenza di una ragazza che lavora in un parco a tema invernale per bambini. E perché l’uomo consegna quei DVD anonimi rigorosamente datati? Lo spettatore riflette, si rivolge delle domande e mette insieme i pezzi senza grandi colpi di scena, ma con la giusta pazienza di scoprire.

In questo risiede il valore maggiore di Stranger Eyes che non crea l’ansia da rivelazione, ma accompagna lo spettatore nel gioco a incastri. Forse pecca un po’ nel fornire il motivo del rapimento della bambina, un po’ banalotto, ma ha un grande pregio. Nel panorama del Concorso di Venezia 81 è l’unico film che omaggia il cinema. Non ci sono citazioni esplicite, visioni di film, riproposizione di scene famose, ma una tecnica regista e narrativa che ricorda molto il cinema di genere giallo/thriller della metà del Novecento. La musica che alza la tensione e il silenzio assoluto che puntualizza il momento di maggiore intensità; la narrazione rallentata; la macchina fissa sulle movenze del protagonista nell’intento di scoprire qualcosa; la serafica ammissione del cattivo di turno che sancisce il suo reato. Il film di Siew Hua Yeo parte da qui e inserisce questo genere di cinema in una Singapore ossessionata dalla visione, dallo spiare, dal dover vedere sempre tutto. Infatti molte delle riprese sono proprio prese in prestito dai circuiti chiusi. È piacevole, pertanto, la visione di Stranger Eyes che ammalia e fa discutere molto. Alla fine della proiezione, infatti, fuori dalla sala ho sentito in molti confrontarsi sulle evoluzioni della storia, come anche sul come il film fosse giunto a quelle conclusioni. Non so dirvi se questa pellicola potrà ottenere qualche premio, certo è che si tratta di un buon film che esce dalle tipologie di narrazioni del Concorso sin qui descritte, fornendo un punto di vista di un giovane regista da tenere d’occhio. Domani, se potessi, lo riguarderei. 

Altro ancora (più brevemente)

  • Come già detto nei giorni passati, Takeshi Kitano è al Lido e per certo so che si trova comodo nella sua stanzetta dell’Hotel Excelsior. In redazione ci ha fatto un po’ riflettere questa sua apparizione al Lido, perché è davvero improvvisata nei tempi (è probabile che parta subito sabato 7 settembre) e nei modi (è arrivato in sordina e come detto non sta facendo molta attività stampa). Mi sarebbe piaciuto intervistarlo e farmi una gran chiacchierata di cinema con lui, ma non è stato possibile. Broken Rage, il suo nuovo film di appena 64’ sarà presentato Fuori Concorso domani 6 settembre e poi uscirà, forse non troppo in là, su Prime Video. Comunque nonostante tutto è sempre bello sapere che Kitano è alla Mostra, il festival che gli ha dato tanto e ha diffuso nel mondo il suo grande talento.   
  • Vi ho parlato spesso del concorso di Venezia Classici sia in queste Cronache dal Lido che nel podcast La Luce del Cinema. Ci torno anche oggi per segnalarvi che tra gli ultimi restauri presentati c’è Manji (All Mixed Up) di Yasuzo Masamura del 1964, una vera chicca per i cinefili. Tratto dal romanzo del 1928 di Jun’ichirō Tanizaki, pubblicato per la prima volta sulla rivista giapponese Kaizō, Manji risplende ora dopo il restauro realizzato a cura della Kodokawa Corporation. Il libro ha avuto diversi adattamenti cinematografici e nel 1964 Masumura decise di portare la sua idea del romanzo sul grande schermo, per poi riapparire nel 1983 con una versione definita pornografica; poi nel 1998 e successivamente nel 2006 e quindi è giunto al Lido per la Mostra del Cinema. Se siete al Lido e ci sono ancora biglietti disponibili, fidatevi, prendeteli. Potremmo vederci in sala!
  • Con le Cronache dal Lido di domani, giorno 10 si chiude questo approfondimento. Mi auguro di avervi intrattenuto con i racconti sul cinema e su tutto ciò che sta attorno alla Mostra del Cinema. L’ultima mia cronaca dal Lido di domani parlerà prevalentemente di cinema, perché domani provo l’impresa eroica, considerando la mia età, di vedere quanti più film possibili. Ci provo, intanto anticipo un grazie a tutti voi lettori. 

Per oggi è tutto. Domani si chiude alla grande. 

Crediti fotografici

Foto 1 PHOTOCALL - DIVA FUTURA - P. Castellitto G. Louise e B. Ronchi - Credits G. Zucchiatti La Biennale di Venezia - Foto ASAC - 1

Foto 2 RED CARPET - JOKER FOLIE A DEUX - Actress Lady Gaga - Credits G. Zucchiatti La Biennale di Venezia - Foto ASAC - 4

Foto 3 DIVA FUTURA - Barbara Ronchi - Pietro Castellitto - Credits Lucia Iuorio

Foto 4 DIVA FUTURA - Pietro Castellitto - Credits Lucia Iuorio - 2

Foto 5 STRANGER EYES - Anicca Panna - Credits Akanga Film Asia Juliana Tan - 2

Foto 6 STRANGER EYES - Lee Kang-Sheng - Credits Akanga Film Asia Christopher Wong - 2

Foto 7 PHOTOCALL - APRIL - Ia Sukhitashvili - Credits Giorgio Zucchiatti La Biennale di Venezia - Foto ASAC - 2


 

 

 

Davide Parpinel

Del cinema in ogni sua forma d'espressione, in ogni riferimento, in ogni suo modo e tempo, in ogni relazione che intesse con le altri arti e con l'uomo. Di questo vi parlo, a questo voglio avvicinarci per comprendere appieno l'enorme e ancora attuale potere di fascinazione della settima arte.

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