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Tag - Recensione

Il prolifico 2015 di Sion Sono regala questo Tag, film improntato alla vivacità anarchica e surreale tipica del regista, senza però risultare mai veramente lavoro eccellente

Frutto dell'annata cinematografica più prolifica della sua carriera (ben sei lavori nel 2015), Tag fa parte di quel gruppo di pellicole dirette da Sion Sono in cui la vena anarchica, visionaria e grottesca costituisce il vero fulcro dell’opera.
Raccontare anche per brevi linee la trama di Tag è impresa piuttosto ardua, proprio perché non esiste un tema narrativo preciso e lineare, essendo invece il film un collage di immagini surreali e di situazioni che sfuggono ad un tentativo di sintetizzarle. Possiamo dire però che il film parte con una situazione che sembra richiamare il Sono di Suicide Club, quello che porta all’eccesso lo splatter, allorquando ci mostra un gruppo di ragazze in gita su un pullman su cui si abbatte una folata di vento assassino che taglia in due tutto, corpi compresi. Si salva solo Mitsuko, casualmente accovacciata a raccogliere una penna. Da qui in poi inizia un racconto a metà tra l’horror e l’incubo, tra il sogno e il surreale, in cui Mitsuko dapprima inizia a credere che tutto ciò che ha vissuto sia un sogno e poi invece si trasforma in un'avventura surreale e orrorifica nella quale la ragazzina inizia una corsa a perdifiato per fuggire ad assassine inguainate di nero che vomitano fiumi di proiettili dalle loro armi automatiche. Nel correre Mitsuko diventa prima una giovane donna, Keiko, in procinto di sposarsi, e quindi in Izumi, un'atleta impegnata in una gara podistica.
Detta così sembra una pura follia, e forse lo è, come sempre quando Sono decide di lasciare correre la sua vena narrativa priva di regole, di fatto Tag diventa un racconto sulla dicotomia tra mondo reale e mondo surreale, tra tangibilità e fantasia, focalizzando la difficoltà dell’uomo ad adattarsi alla realtà che lo circonda.
Altra caratteristica che non può sfuggire è che il film è un'opera quasi totalmente al femminile, scelta che offre il fianco alla celebre pruriginosità insita nei lavori del regista giapponese: pensate forse che un vento assassino che taglia in due non sollevi pure le gonnelline delle ragazzine mostrando mutandine e cosce? Oppure che in un film che assomiglia ad un gineceo possano mancare le immagini, seppur fugaci, di lolite provocanti? La scelta di Sono però non è solo formale: il piccolo ma fondamentale segmento in cui compaiono personaggi maschili, sta i dimostrare che il regista si è ispirato in primis al mondo femminile per il suo lavoro, confidando forse in una presunta maggiore fragilità emotiva del sesso femminile, più sensibile al contrasto tra mondi paralleli.
Sta di fatto comunque che Tag procede per quadri in sovrapposizione, spesso totalmente svincolati uno dall’altro, in cui si ha chiara l’impressione frequentemente di trovarsi di fronte ad un collage di immagini che vorrebbero dare concretezza alla pellicola, risultato per alcuni versi raggiunto perché immagini evocative Sono ne costruisce non poche; di contro però trovare una minimo di tessuto connettivo che tenga insieme la storia è veramente impresa ardua.

Vero che quando Sion Sono lascia correre la sua vena più surreale e più narrativamente sfrenata e anarchica è capace di regalare opere degne di nota, ma Tag non raggiunge certo i livelli dei suoi lavori migliori e neppure quelli di The Whispering Star, un altro dei lavori appartenenti a questo ipertrofico 2015. Tag è uno di quei film che vanno presi per ciò che sono, una follia visiva condita di surreale, quasi una fuga dalla realtà.
Reina TriendlMariko Shinoda ed Erina Mano si danno il cambio nella folle staffetta nel ruolo da protagonista, soprattutto la prima con la sua faccia da adolescente sensibile ed impaurita riesce bene a incarnare il vero personaggio chiave del film.


Il nostro giudizio: Il nostro giudizio è 3

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Massimo Volpe

"Ma tu sei un critico cinematografico?" "No, io metto solo nero su bianco i miei sproloqui cinematografici, per non dimenticarli".

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