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The Forest of Love - Recensione

Dopo Amazon, Netflix: il cinema urticante di Sion Sono trova nuovamente terreno fertile nella distribuzione on demand. Sangue e ribellione in un film ispirato a una storia vera che riporta il regista ai suoi livelli migliori ma che lascia una sensazione di già visto

The Forest of Love è il film che aspettavamo. Perché dopo la bulimia di pellicole (ben otto tra il 2015 e il 2017) che mostravano appetiti per lo più commerciali, con qualche rara eccezione (The Whispering Star e Antiporno), il cinema di Sion Sono sembrava finito in un vicolo cieco, bloccato da un sistema produttivo e distributivo che gli concedeva pochi spazi di manovra per lavori più personali e sperimentali (come lasciava intendere il documentario sul regista The Sion Sono). Invece la collaborazione con Netflix – che arriva dopo il bizzarro esperimento seriale con Amazon Prime di The Vampire Hotel e prima dell’atteso esordio in lingua inglese Prisoners of the Ghostland con Nicolas Cage – ci riconsegna il regista che abbiamo imparato ad amare: quello in grado di scuotere lo spettatore con le sue storie esuberanti, senza compromessi, di individui alla ricerca di una identità in una società che li marginalizza e respinge.
Rientra in questa galleria di personaggi Mitsuko, la protagonista dell’ultima fatica di Sion Sono: una ragazza inerte che vive come una reclusa nella sua camera da letto, atrofizzata dal ricordo struggente di un amore saffico inconfessato verso una compagna di scuola morta in un incidente stradale e prigioniera di una famiglia abbiente in cui il padre è un despota che ne controlla ogni azione. Mitsuko vive in una sorta di limbo tra un’adolescenza che stenta a lasciarsi alle spalle e un mondo degli adulti che la spaventa. Attorno a lei si scatena il caos quando nella sua vita fanno irruzione prima un’ex compagna di scuola, Taeko, che vuole coinvolgerla in un film che sta realizzando con un gruppo di amici borderline, e poi un uomo di mezza età, Joe Murata, all’apparenza un rispettabile businessmen ma in realtà un abile truffatore che sfrutta il suo invidiabile carisma per manipolare le persone e trarne un profitto.
Film inclassificabile suddiviso in capitoli che ha rischiato di essere compromesso da alcuni di problemi di salute del regista (Sion Sono è stato colpito da un infarto a inizio 2019, due giorni dopo che la moglie, l’attrice ed ex gravure idol Megumi Kagurazaka, ha dato alla luce il loro primo figlio), The Forest of Love è molte cose insieme, pieno com'è di svolte improvvise, senza che ci sia un vero filo logico a tenere unite le varie parti. È un ritratto feroce di una società sprovveduta che si lascia corrompere da falsi predicatori alla Joe Murata (il contesto è quello degli anni Ottanta e Novanta, nel momento della cosiddetta baburu keiki, la bolla speculativa che ha segnato per sempre il Giappone). È un thriller sanguinoso e disturbante che, ispirandosi a una storia vera, cerca la soluzione all’enigma dietro una serie di omicidi seriali di giovani studentesse, tutte uccise in un bosco sperduto. È una love story estrema senza catarsi (a tal proposito ci pare più attinente il titolo originale del film, Ai naki mori de sakebe, che è ben diverso da quello internazionale ed è traducibile come "Urla nella foresta dell’amore che non c’è") che si consuma tra istinti stravaganti, pulsioni erotiche, tentativi di suicidio.
Ma soprattutto The Forest of Love è la sintesi del miglior cinema di Sion Sono, dopo molti lavori non proprio indimenticabili: una sorta di bignami di immaginari già partoriti sullo schermo dal regista, in cui risuona l’eco del cinema inteso come spazio di rivendicazione della libertà come già in Why Don’t You Play in Hell?, di quel gusto per le derive del macabro che si alimentano di ignavia e passività di Cold Fish e del culto della personalità e della ricerca di un’identità al centro di Love Exposure. Pregio e al tempo stesso limite, quello della rilettura di temi già affrontati altrove, di un film che è espressione di una ‘serializzazione’ raggiunta dal cinema di Sion Sono. Ovvero di una incapacità di sfornare nuove idee che ha portato a una reiterazione delle ossessioni su cui si è plasmata la cifra autoriale del regista, prima fra tutte la riproposizione di una disillusione totalizzante. Tutto il cinema più recente di Sion Sono non è forse permeato dalla disillusione di un’umanità nei confronti di un mondo che la rigetta e che la fa sprofondare nel baratro di sentimenti di autodistruttività, ribellione, amoralità, subalternità? In questa deriva senza sosta si colloca The Forest of Love che, pur tra molti limiti, regala momenti sublimi, confermando lo straordinario dono del suo autore di saper unire con la macchina da presa l’intimo e l’estremo, il raccapricciante e l’adorabile.

Sicuramente Sion Sono sembra aver trovato in realtà come Amazon e Netflix il nuovo terreno fertile in cui poter esprimere la sua visione anarchica, caotica e viscerale del cinema, in un momento in cui le grandi case di produzione giapponesi cercano di rischiare poco e di proteggere i loro investimenti. Un cinema di certo non per tutti, che con i 151 minuti di The Forest of Love regalerà molte gioie agli estimatori del regista così come inasprirà il giudizio negativo dei suoi detrattori.




Il nostro giudizio: Il nostro giudizio è 3

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