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Blade of the Immortal (Mugen no junin) - Recensione (London Film Festival 2017)

Centesimo film per il prolifico Takashi Miike. Tratto dalla popolarissima e lunghissima saga di manga di Hiroaki Samura, Blade of the Immortal è un chambara d’intrattenimento ben riuscito e godibile

Tempo di festeggiamenti per il regista giapponese Takashi Miike! Blade of the Immortal è il suo centesimo film e quale modo migliore di celebrare, per un regista come lui, se non con un bagno di sangue o due? Il film è stato presentato allo scorso Festival di Cannes ed eccolo anche al BFI London Film Festival 2017 dove Miike sarà anche ospite e protagonista di una delle Screen Talk in programma, i cui biglietti sono andati esauriti cinque minuti dopo l’apertura delle vendite.
Il film è tratto dalla popolarissima e lunghissima saga di manga di Hiroaki Samura dal titolo omonimo. Un prologo iniziale, girato in un saturo bianco e nero, introduce il protagonista Manji (interpretato dalla mega pop star giapponese Takuya Kimura), un samurai del periodo Edo alle prese con una banda di 100 rozzi assassini che hanno catturato la sua sorellina. Ne segue una feroce battaglia in cui Manji sconfigge centinaia di uomini ma non riesce a evitare la morte della sorella. Disperato e ferito, sembra accettare la propria morte come una benevola liberazione, ma una misteriosa monaca buddista lo salva inserendo nella ferita dei vermi del sangue che hanno il potere, proliferando nelle sue vene, di sanare le ferite e addirittura ricucire pezzi mozzati del corpo. Cinquant'anni anni dopo, ritroviamo il nostro (super)eroe ormai immortale e non particolarmente felice di esserlo. Presto viene contattato dalla piccola Rin (Hana Sugisaki), una bambina figlia di un sensei di kendo ucciso dalla banda Ittō-ryū, capeggiata dal gelido Anotsu (Sota Fukushi). Manji apprende che questa Ittō-ryū ha intrapreso una sorta di globalizzazione delle piccole scuole locali di arti marziali (do-jo) per formare un’unica mega scuola di stili e arti miste. Poca scelta però è lasciata ai sensei che vengono uccisi qualora si rifiutino. Questa è stata la sorte del padre di Rin, e la piccola è ora in cerca di vendetta e di un mentore. La somiglianza di Rin con la sorella di Manji colpisce nel segno e questa improbabile coppia (inevitabili i paragoni con Logan) comincia quindi la ricerca di Anotsu per ucciderlo: lungo il cammino una serie di avversari si presenteranno ai due.
Da qui la narrazione prende una strana modalità, molto aderente al concetto della 'serie' di fumetti, dove ogni avversario incontrato da Manji e Rin sembra rappresentare un capitolo, quasi un volume manga a sé, diversamente dalle tradizionali trasposizioni da fumetto a live-action che di solito si focalizzano su una storia ben precisa e più o meno articolata. Questa serialità rischia di rendere il film, che dura due ore e mezza, leggermente stiracchiato e ripetitivo a tratti, anche se pur sempre divertente e visivamente brillante.
Blade of the Immortal, come 13 assassini, fa parte di quel gruppo della filmografia di Miike un po’ meno 'inquieto', ovvero senza troppe fughe nel surreale. Allo stesso tempo non bisogna aspettarsi un chambara tradizionale. La narrazione è vivacizzata da tocchi di magia e frequente ironia e la parata di personaggi che si avvicendano a sfidare Manji è una banda colorita e un po’ punk incurante di ogni coerenza con il periodo storico. Le armi, come da fumetto, sono esagerate e immaginative e le strategie di combattimento di Manji, avendo il vantaggio dell’immortalità, sono quantomeno trasgressive. Perché non mozzarsi una mano se te la bloccano quando sai che si riattaccherà? Inoltre le coreografie delle battaglie corali sono molto ben coreografate e spettacolari.

Il personaggio di Rin è forse quello che meno si definisce e prende spessore per una pecca di sceneggiatura, ma in una visione globale Blade of the Immortal è un film d’intrattenimento ben riuscito e godibile che piacerà ai fan del regista e delle pellicole di samurai anche se, come già detto, un po’ ripetitivo. Un super eroe immortale mi sembra un buon modo di celebrare questo super prolifico regista. Lunga vita a Takashi Miike!




Il nostro giudizio: Il nostro giudizio è 3

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Adriana Rosati

Segnata a vita da cinemini di parrocchia e dosi massicce di popcorn, oggi come da bambina, quando si spengono le luci in sala mi preparo a viaggiare.

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