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L'attesa - Recensione (Venezia 72 - In concorso)

L'incontro tra due donne per raccontare l'elaborazione di un lutto: l'esordio alla regia di Piero Messina è un'opera embrionale e imperfetta

Anna (Juliette Binoche) ha appena perso il figlio Giuseppe. Passa le giornate nella sua casa in Sicilia in uno stato di apatia, circondata soltanto dal fedele domestico Pietro. La sua solitudine viene interrotta dall'arrivo di Jeanne (Lou de Laâge), giovane ragazza francese che dice di essere stata invitata da Giuseppe a trascorrere qualche giorno di vacanza sull'isola. Incapace di confessare alla fidanzata del figlio la dolorosa verità, le due aspetteranno per giorni il rientro del ragazzo scomparso.
L'attesa, opera prima di Piero Messina, tra i film italiani in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia 2015, utilizza il pretesto dell'incontro tra due donne per raccontare l'elaborazione di un lutto: le due, entrambe francesi, condividono l'amore, materno e sentimentale, per lo stesso uomo. Si ritroveranno, nella campagna siciliana, a spendere le loro giornate assieme, tra cene e passeggiate e, grazie a Jeanne, Anna avrà l'occasione di prolungare la presenza immaginifica del figlio morto.
Il regista siciliano, già autore di alcuni corti e aiuto regista di Paolo Sorrentino, si ispira liberamente al dramma di Pirandello La vita che ti diedi, dove una madre vive nel ricordo del figlio deceduto, nutrendosi della sua mancanza sino a credere che lui sia ancora lì.
Messina realizza un film che non convince appieno per sostanza e sceneggiatura. L'attesa, seppur con premesse interessanti, può definirsi un'opera mancante: privo di una scrittura solida, prosegue in una condizione di stallo, incapace di trovare uno sviluppo convincente.
Nonostante un'indubbia capacità di costruire immagini visivamente potenti (pensiamo alla camera che scivola sul corpo di luce e ombra della statua di un cristo o alla scena catartica della processione della Settimana Santa), l'occasione di raccontare la relazione femminile tra due donne e l'accettazione di una perdita viene sprecata tra troppi manierismi: Messina propone, infatti, una regia fine a se stessa, incapace di utilizzare le proprie intuizioni a favore di una storia coerente.
Affetto da un'estetica che ricorda il cinema sorrentiniano (i titoli di testa sono una citazione dichiarata), il lirismo delle immagini contribuisce a costruire un film che rischia di risultare lezioso in alcuni passaggi, dove la trama stessa appare forzata e inverosimile. 

L'attesa è un'opera embrionale e imperfetta, dove si scorge un'intenzione poetica ancora incapace di trovare una voce propria e personale.


Il nostro giudizio: Il nostro giudizio è 2

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