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Slow West - Recensione

Michael Fassbender e Kodi Smit-McPhee in viaggio nel Wild West, nell’esordio alla regia di John Maclean che ha entusiasmato il Sundance Film Festival 2015

Opera prima di unanime successo quella del giovane regista, autore ed ex musicista scozzese dei Beta Band, John Maclean che con Slow West sta entusiasmando la critica britannica dopo un altrettanto positivo esordio al Sundance Film Festival 2015 (dove ha vinto il Gran Premio della Giuria).
Michael Fassbender e Kodi Smit-McPhee è l’improbabile coppia che virerà dalla reciproca sfiducia a dinamiche quasi da padre/figlio. Curiosamente Smit-McPhee aveva avuto un simile ruolo accanto a Viggo Mortensen nel film The Road - La strada.
Jay Cavendish (Kodi Smit-McPhee) è un sedicenne scozzese di buona famiglia che si aggira per il Wild West del 1870 con malcelata ingenuità, una valigia di cose inutili, una teiera di latta e la testarda determinazione di ritrovare il suo primo amore Rose (Caren Pistorius) fuggita con il padre dalla Scozia in circostanze oscure. Come e perché Jay e Rose siano finiti in Colorado si potrà ricostruire lungo il corso del film con un po’ di fantasia e grazie a brevi flashback poetici, melanconici e non proprio didascalici.
Per sua temporanea fortuna Jay incappa in Silas (Michael Fassbender), un cacciatore di taglie che per soldi acconsente a scortare Jay fino a dove forse si nasconde Rose. In realtà Jay sembra essere rimasto l’unico nell’intero West a non sapere che una grossa taglia pesa sulla testa di Rose e del padre e di conseguenza non sono gli unici sulle loro tracce. Persino Silas, che nasconde in tasca l’avviso di taglia, potrebbe avere in testa un piano tutto suo.
La strana coppia inizia così un viaggio destinato a rotolare come una palla di neve verso un finale pirotecnico e meno scontato di quanto si possa immaginare.
Lungo questo cammino tra il surreale e il comico si avvicendano personaggi bizzarri, musicisti africani, cacciatori di taglie dall’aria dandy, uno stravagante antropologo, nativi americani spiantati e malinconici. Questa carrellata riporta alla memoria tanti film precedenti dove registi (e musicisti!) hanno usato il genere western in modi inconsueti e metaforici, ma non voglio fare qui nessun facile paragone perché questo film è totalmente unico e originale e allo stesso tempo riesce anche a cogliere lo spirito classico dei western.
Tra gli attori merita una menzione la Nuova Zelanda, qui camuffata da Colorado, che con il suo aspetto primordiale e matrigno fa apparire gli umani ancora di più estranei e stranieri, pionieri europei ancora in fase di rodaggio in un West definito da uno dei personaggi "di sogni e di fatica".
Silas è senza ombra di dubbio il personaggio più a suo agio in questa terra di frontiera, non tanto per anzianità di piazzamento quanto per il suo intrinseco distacco e i suoi occhi di ghiaccio che lo rendono estremamente ‘cool’, mi si perdoni l’insostituibile brutta parola, come i leggendari precedenti eroi del Far West.
Si ha l’impressione che Fassbender sia nel proprio elemento e sospetto che questa familiarità sia dovuta anche ad una genuina amicizia e stima reciproca fra il regista e l'attore che ha partecipato anche ai due cortometraggi precedenti di Maclean, il primo dei quali, Man on a Motorcycle (2009), incredibilmente girato con il telefono in tempi in cui Fassbender era già un attore famoso.

Maclean aveva avuto modo di esercitare la sua visionaria creatività producendo artigianalmente molti dei video della Beta Band, fino ad ottenere un Bafta per il migliore cortometraggio nel 2011 con Pitch Black Heist e ora con talento e maturità visuale ha prodotto una storia disegnata con le matite e non con i pennarelli, sfumata e un po’ sbavata dove però la somma delle parti produce magicamente un’alchimia esplosiva.


Il nostro giudizio: Il nostro giudizio è 3.5

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Video

Adriana Rosati

Segnata a vita da cinemini di parrocchia e dosi massicce di popcorn, oggi come da bambina, quando si spengono le luci in sala mi preparo a viaggiare.

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