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Johnnie To si racconta: incontro con una leggenda del cinema

Il maestro intervistato nella sede BAFTA a Londra: le ispirazioni, gli inizi, i suoi film, Hong Kong, il rapporto con la Cina

Quando la British Academy of Film and Television Arts (BAFTA) in collaborazione con la Asian Film Awards Academy di Hong Kong ha annunciato un incontro della serie A Life in Pictures con Johnnie To, c’è stata una corsa a gomitate per accaparrarsi i biglietti nelle settimane a seguire.
Questa celebrazione della carriera del regista è infatti un appuntamento immancabile per i fan del cinema di Hong Kong e per gli amanti in genere del buon cinema.
Johnnie To è un regista molto prolifico, 54 film diretti e 70 prodotti, e molto versatile. Nonostante sia conosciuto principalmente per i suoi film d’azione, ha spaziato con successo in generi molto differenti, dalla commedia al sociale, al romantico. Nel 1996 To ha fondato la casa di produzione cinematografica Milkyway Image con il suo collaboratore Wai Ka-Fai, destinata ad avere grande successo e da molti considerata la salvezza del cinema hongkonghese dalla commercializzazione post-handover.
Una Champagne Reception nella bella sede BAFTA in Piccadilly ha preceduto l’evento. Molti gli addetti ai lavori e le facce note della Famiglia di noi fanatici del cinema asiatico che ci incontriamo a tutti gli eventi di questo genere. Tra la folla anche Thomas Bertacche, curatore del Far East Film Festival di Udine, il team della Terracotta Distribution, Andrew Heskins, direttore di Easternkick.com, e il team curatore del recente Chinese Visual Festival.
Ma eccoci in sala, l’atmosfera è intima perché lo spazio è piccolo ed ovattato, l’intervistatore è Ian Haydin Smith di Curzon Magazine. Ed ecco Johnnie To, una vera leggenda, proprio davanti a noi.
La trascrizione integrale dell’intervista si può trovare sul sito BAFTA e un po’ ovunque sul net, quindi qui vorrei raccontare trasversalmente qualche tema toccato durante l’incontro e qualche aneddoto divertente.

Gli inizi: il Pre-Milkyway. To racconta dei suoi inizi negli studi televisivi TVB negli anni Settanta, quando le produzioni televisive andavano molto forte e quando lui dirigeva serie tv di arti marziali. Dopo aver girato il suo primo lungometraggio, il wu-xia The Enigmatic Case (1980), si era reso conto, a detta sua, di non essere capace di fare film. Da lì aveva rifiutato tutte le offerte fino al 1988, quando ha diretto The Big Heat, il suo primo film d’azione, un genere che diventerà il suo trademark. “Tutta colpa di Tsui Hark che mi ha costretto, io non volevo fare il regista di film d’azione!”.

Le ispirazioni. Come tanti registi famosi anche To viene spesso dissezionato per etichettare le sue ispirazioni e cercare morbosamente la provenienza di una scena o l’altra. Forse una mania post-Tarantino, che nei suoi hommage non è avaro di riferimenti molto riconoscibili. In realtà io penso che le idee siano nell’aria che respiriamo e l’ispirazione creativa si nutre di ciò ed elabora. L’intervistatore ha da subito insistito su questa ricerca di riferimenti che a mio avviso non è un buon modo di sciogliere il ghiaccio. Ricordo di aver notato l’effetto nefasto su Hirokazu Kore-eda non molto tempo fa alla conferenza stampa di Cannes per il suo Our Little Sister, dove era stato immediatamente paragonato a Yasujiro OzuTo sulle prime un po’ infastidito nomina Akira Kurosawa con l’aria di chi voglia dare un contentino, poi però si rilassa e parla della sua grande ammirazione per il regista giapponese. Mi riporta al duello finale notturno nell’erba altissima e scossa dal vento di Throw Down, uno dei miei preferiti di To, ispirato senza mezze misure a Sanshiro Sugata di Kurosawa. Ma a parte i colleghi registi To spiega di trarre ispirazione da tutto ciò che gli accade nella vita di tutti i giorni, per esempio quando perse una cifra importante per colpa di investimenti bancari sbagliati decise di fare Life Without Principle (in competizione a Venezia nel 2011) sul dilemma tra morale e ricchezza nel mezzo della crisi economica globale.
Dopo aver pensato che Hong Kong avesse bisogno di elezioni, iniziò a progettare Election I e II (svela di averli girati insieme e anche che prima o poi ci sarà anche il III). A proposito di ElectionTo spiega che tutto ciò che è nel film è vero e basato su meticolose ricerche e interviste con membri delle triadi. La stessa cosa ha fatto con la polizia hongkonghese per il film PTU e i borseggiatori di strada per Sparrow. Però ci confessa che nonostante la sua accuratezza gli stessi membri delle triadi hanno in seguito definito Election orribile! “Forse immaginavano un risultato più eroico, ma non ci sono eroi in Election”. Vero, Election è una storia spietata e senza nessun appiglio empatico, una cosa un po’ desueta per il genere gangster hongkonghese che mostra sempre anche delle sfumature di melò.

Copione? Quale copione? To rivela all’intervistatore incredulo il suo modo un po’ sconclusionato di fare film, spesso senza copione e affidandosi molto alle dinamiche personali tra i suoi attori, a volte girando in 2 settimane e a volte in 3 anni, con i centesimi contati o con grandi budget.
The Mission, uno dei suoi film più amati e che gli ha aperto le porte al successo internazionale, è stato riportato nella conversazione più volte. To racconta che al tempo, nel 1999, lo fece senza soldi e in solo 19 giorni e proprio quel film segnò il giro di boa della Milkyway, che fino allora aveva stentato a sopravvivere ed era quasi in bancarotta.
Nella clip di The Mission che è stata mostrata, gli attori, in un momento di noia della loro missione di guardie del corpo, cominciano furtivamente a calciare una palletta di carta e a passarsela come scolari durante una lezione noiosa. È una scena piuttosto divertente e umana, molto rappresentativa del tema dell’amicizia e complicità maschile che To ricalca spesso. L’intervistatore era curioso di sapere quanto tempo avesse speso To per pianificare e filmare quella partita a palletta, ma ancora una volta To, ridendo, ha svelato che non c’era copione e che tutto era nato spontaneamente dagli attori e che durante le riprese del film gli interpreti erano costantemente confusi e in dubbio se si stesse girando o no.
L’intervistatore fa notare che le sue storie però sono molto complesse e chiede se faccia uso di storyboard. “Storyboard? Non ho nemmeno un copione, figuriamoci uno storyboard!”.

I suoi attori. Molte facce ricorrono regolarmente nei film di To. Attori poliedrici che hanno interpretato gangsters spietati, amanti romantici o spassosi spogliarellisti muscolosi. Parlando dei suoi attori, To confessa che la ragione principale per cui usa sempre gli stessi interpreti è perché in realtà è molto pigro e perché ci vuole troppo tempo per conoscere ed abituarsi a nuovi attori e di conseguenza guadagnarne il controllo. Gli piace quindi usare sempre gli stessi. Sarà vero? Probabilmente sì, se è vero che preferisce affidarsi alla chimica fra i suoi attori più che ad un copione.
Di Johnny Hallyday, con cui ha lavorato in Vendicami, dice che è stato come lavorare con uno dei suoi e che sta meditando di utilizzare degli attori occidentali, ma si è categoricamente rifiutato per scaramanzia di nominarne alcuno.
Ma i due attori che tiene in palmo di mano sono Anthony Wong, che definisce una vera superstar, uno dei migliori attori sulla piazza, e Lau Ching-wan, per cui ha avuto parole di grande stima, “calmo, profondo e una persona sensibile e accurata”. Lau Ching-wan è in effetti un attore molto bravo ed eclettico nei ruoli che però è sempre rimasto un gradino indietro in fatto di celebrità e premi, uno di quelli che è sempre tra i finalisti e raramente tra i vincitori dei prestigiosi ‘Oscar’ hongkonghesi.
Invece era qualcosa di molto profondo il suo rapporto con Wong Tin-lam, personaggio storico del cinema di Hong Kong, sceneggiatore, produttore, regista e attore, scomparso nel 2010. “Era il mio maestro e io il suo studente, anzi a tutti gli effetti è stato come un padre per me”.

La musica. I film di To hanno sempre una colonna sonora molto presente e persistente che ha una parte fondamentale nel delineare l’atmosfera e l’umore del film (mi ricordo di aver canticchiato per giorni il tema di PTU dopo averlo visto). To conferma che per lui la musica è importantissima proprio per definire il film ed è la prima cosa che finalizza. Una volta trovata la musica giusta, inizia a girare il film.

Hong Kong. To è stato spesso definito il cantore di Hong Kong e i suoi film sono un grande omaggio a questa città. To spiega che Hong Kong è solitamente un posto di transito, ma lui è nato e cresciuto lì e per questo la città è nei suoi film, come tutto ciò che ama (poco prima aveva detto che mette nei suoi lavori tutto quello che gli piace fare, per esempio mangiare e fumare, due attività rappresentate spesso nei film). Ma To dice anche che Hong Kong negli anni è diventato un vero e proprio personaggio dei suoi film: “Un personaggio di un film dove puoi decidere se stare o andartene. Hong Kong è un posto veramente speciale per me”. Il film Sparrow (2006) in particolare è la sua lettera d’amore ad Hong Kong e uno dei film più personali di To, anche se non apprezzato da tutti i fan. To racconta che durante le riprese, vicino ad un vecchio attracco dell’iconico traghetto Star Ferry di Hong Kong, aveva assistito ad una manifestazione dei locali contro la demolizione di quel vecchio attracco e per tutta la notte era rimasto lì a guardare la polizia portar via i manifestanti e a pensare a quanto rapidamente e irrimediabilmente Hong Kong stesse cambiando, e che fosse sua responsabilità mostrare e condividere il passato di Hong Kong. Per questo poi Sparrow è stato girato tra le strade della parte vecchia di Gong Do, l’Isola di Hong Kong, la parte della città preferita dal regista. “Personalmente sento che questo film è una memoria storica e culturale di Hong Kong”.

La Cina. Verso la fine dell’incontro To parla delle co-produzioni con la Cina in riferimento alla sua recente esperienza con Drug War. Il regista ammette che le co-produzioni ti forzano dentro determinati limiti e parla di libertà limitata e di compromessi. E poi inaspettatamente: “La cosa migliore è non fare co-produzioni, preferisco avere meno finanziamenti ma libertà illimitata”. To spiega che la Cina ha gradualmente preso il sopravvento sul cinema di Hong Kong spesso per questioni di grandi capitali disponibili. Questo non vuol dire che il cinema di Hong Kong non esista più, ma allo stesso tempo nulla sarà più come prima, sarà diverso. Tanti registi hongkonghesi sono passati in Cina a fare i loro film e quindi fanno il cinema hongkonghese in Cina! “Siamo (gli hongkonghesi) adattabili ed intelligenti, sappiamo come approfittare delle situazioni, collaborare e imparare l’uno dall’altro” (questo della duttilità è il tratto di carattere di cui gli hongkonghesi vanno più fieri) e come esempio di adattabilità e resilienza cita il grande Andy Lau e la sua carriera.

Conclusioni. La serata è volata così, in un attimo. Mi hanno dovuto scollare dalla poltrona a forza, incredula che il mio idolo fino ad un minuto prima stesse chiacchierando proprio lì davanti a me. È stata un’esperienza veramente soddisfacente, in realtà nessuna rivelazione clamorosa è stata fatta, niente che To non abbia probabilmente detto in altre interviste, ma è stato emozionante sentirlo parlare e scherzare proprio dal vivo.
La cosa più divertente dell’incontro è stato il contrasto tra l’intervistatore e To, il primo britannico, competente ma un po’ goffo e continuamente in cerca di risposte che giustificassero a tutti i costi le scelte stilistiche e il secondo, rilassato, gioviale con quell’attitudine honkonghese molto simile ad una nostra meridionalità. E così ora, nonostante la sua aura di celebrità, mi piace pensare che Johnnie To in realtà sia un tipo affabile e 'approcciabile' e sono sicura che alla sala vellutata ed elegante dell’altra sera avrebbe preferito chiacchierare con una sigaretta in mano davanti ad un maialino arrosto e una birra ghiacciata.





Adriana Rosati

Segnata a vita da cinemini di parrocchia e dosi massicce di popcorn, oggi come da bambina, quando si spengono le luci in sala mi preparo a viaggiare.

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