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The Crossing: Part I - Recensione

Pur liberato dai superficiali e risibili paragoni con Titanic, The Crossing di John Woo è lavoro che presenta numerose ombre e che conferma, dopo La battaglia dei Tre Regni di sette anni fa, il nuovo corso cinematografico del Maestro

Il 2008 segna il ritorno di John Woo alle produzioni asiatiche dopo la lunga parentesi hollywoodiana tra luci ed ombre: per il ritorno in patria il regista, Maestro indiscusso del film d’azione di Hong Kong, sceglie un racconto epico-storico, Red Cliff (La battaglia dei Tre Regni) ambientato durante il periodo storico cinese nominato appunto dei Tre Regni, fase finale della gloriosa Dinastia Han. Sin da subito apparve chiaro che più che Woo a cambiare Hollywood fosse stata quest’ultima a cambiare radicalmente il regista. Sei anni dopo Woo torna a dirigere ancora in Cina un lavoro che conferma questa tendenza e che col precedente presenta numerose similitudini.
Sgombriamo subito il campo da superficiali e fuorvianti giudizi: The Crossing non è in alcun modo la risposta cinese a Titanic di James Cameron, come da più parti si è letto, solo perché nella seconda parte che uscirà a fine luglio in Cina parte del racconto sarò incentrato sul disastro del piroscafo Taiping avvenuto nel 1949 nel mare che divide la Cina continentale da Taiwan.
Il periodo storico su cui il film è incentrato va dalla fine della Seconda Guerra Mondiale con la ritirata dell’esercito giapponese dalla Cina fino al 1949, quando dopo una sanguinosa Guerra Civile le forze nazionaliste in fuga si diressero a Taiwan dove avrebbero fondato la Repubblica Cinese; tre anni e mezzo circa nei quali la Storia si mescola con le piccole storie personali di alcuni protagonisti.
Il Generale pluridecorato dell’esercito del KMT Lei Yifang e la sua giovane moglie pianista Zhou Yunfen; il capitano Tong Daqing, sempre del KMT, che per fare avere più razione di cibo alla famiglia si finge sposo della campagnola Yu Zhen, la quale a sua volta arriva a Shanghai, fulcro del racconto, per cercare il suo fidanzato partito per la guerra e mai più tornato; il medico taiwanese Yan Zenkun arruolato a forza dall’esercito giapponese nell’ospedale da campo in prima linea durante la guerra che ha visto svanire nel nulla la sua storia d’amore con la giovane giapponese Masako di stanza a Taiwan. Nella prima parte del film vediamo come le storie di questi personaggi si evolvono: tutti avranno in qualche modo qualcosa a che fare con quel maledetto ultimo viaggio del piroscafo stracolmo di fuggiaschi ben oltre l’effettiva portata dell’imbarcazione. Storie di amori profondi e lacerati, messi alla dura prova da un lungo periodo di guerra e di stenti.
Appare chiaro che esprimere un giudizio pieno sul lavoro di John Woo è tutt’altro che semplice: The Crossing è infatti un corpo unico che, per motivi chiaramente commerciali, è stato smembrato in due parti, esattamente come fu fatto per Red Cliff, risultando in tal modo molto più facile da commercializzare piuttosto che proporre quattro ore di film. E la pellicola di questo ne soffre e molto, perché sui titoli di coda, autentico colpo di mannaia narrativo, assistiamo in pratica al trailer della parte seconda che vedrà la luce sette mesi dopo la prima. Al di là della discutibilissima scelta commerciale, The Crossing lascia però ben capire già con la prima parte che tipo di film è: kolossal storico dal budget smisurato, coproduzione Cina-Hong Kong in cui capitali e maestranze, autori e tecnici dimostrano come il connubio tra le due anime del cinema cinese possano dare vita a prodotti che almeno tecnicamente risultano validissimi, scelta di spettacolarizzare al massimo gli eventi raccontati affidandosi al 3D. Dal punto di vista tecnico insomma si può dire che, come era per Red Cliff, l’impronta hollywoodiana che il regista si porta dietro dopo l’esperienza americana è chiara e netta.
Ma è nella sostanza che The Crossing lascia qualche amaro in bocca di troppo: anzitutto rispetto a Red Cliff (inevitabile pietra di paragone per numerosi motivi) manca totalmente quell’aspetto intimamente cinese per il gusto del racconto variopinto e sfaccettato che si cela dietro gli intrighi e le congiure. C’è poi la totale assenza di qualsiasi riferimento politico: troppo interessato Woo a dimostrare che la guerra civile è solo un eccidio fratricida. Ne risulta così un lavoro che può essere letto in maniere diametralmente opposte come dimostra la sua distribuzione ed il relativo successo ottenuto sia in Cina che a Taiwan. Ma soprattutto - ed è il vizio più grave del film, ancora più grave per essere un lavoro di Woo - pesa la quasi totale mancanza di climax emotivo: tutto sembra essere come un giornale che si sfoglia velocemente, con pochissime eccezioni capaci di far vibrare le corde emotive (la scena dell’uccisione del cavallo del Generale per combattere la fame nelle file dell’esercito del KMT, l’incontro faccia a faccia dei soldati nazionalisti con quelli comunisti che parte coi fucili puntati e si risolve in un veloce pranzo come si fosse tra amici, l’incontro tra i Generali delle due fazioni amici ed ex commilitoni contro i giapponesi ora avversari).
E allora non rimane da sperare che il tutto non sia solo un lunghissimo prologo in attesa della parte seconda con la tragedia del mare a farla da padrona, perché altrimenti si tratterebbe di una delusione completa. Nel complesso, almeno fin qui, The Crossing è un film che comunque vale la visione: scene di battaglia spettacolari, sebbene con eccesso di trucchetti da 3D, ricostruzione dell’epoca vivida ed efficace (soprattutto Shanghai), cast che supplisce con la bravura ad una sceneggiatura che presenta numerose falle: Zhang Ziyi, Tong DaweiHuang XiaomingTakeshi Kaneshiro con le loro prove mettono una pezza allo spessore dei personaggi, troppo spesso appena tratteggiati dalla scrittura.

Rimane però un piccolo rimpianto nell’intimità di chi ha amato il John Woo di A Better Tomorrow, di The Killer e di Bullet in the Head, un rimpianto che già con Red Cliff aveva iniziato a farsi strada: la sincera e fragorosa potenza emotiva che avevano quei film sembra essere quasi totalmente scomparsa dagli ultimi lavori del Maestro.


Il nostro giudizio: Il nostro giudizio è 3

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Massimo Volpe

"Ma tu sei un critico cinematografico?" "No, io metto solo nero su bianco i miei sproloqui cinematografici, per non dimenticarli".

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