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Ip Man 3 - Recensione

Ip Man 3 - 2015 - Film - RecensioneTerzo capitolo della saga biografica incentrata sul maestro di wing chun Ip Man: il film di Wilson Yip si mantiene fedele alla struttura e alle tematiche dei due precedenti, mostrandoci sì il lato più crepuscolare del grande maestro, ma offrendoci momenti di grande tecnica e di eccellenti coreografie

E’ ambientato nel 1959 il terzo capitolo della saga incentrata sulla figura di Ip Man diretta da Wilson Yip ed inizia idealmente dove l’avevamo lasciata al termine del secondo, col giovane e impertinente Bruce Lee che si presentava alla porta del maestro chiedendo di poter diventare suo allievo. Sono passati alcuni anni e il ragazzino è diventato ora un giovane prestante ma sempre con un filo di arroganza e lo vediamo nuovamente alla porta di Ip Man dove regala una dimostrazione al maestro di velocità e di doti tecniche.
In quegli anni Hong Kong stava diventando a grandi passi la metropoli cosmopolita che conosciamo: la ricchezza ed il benessere iniziavano a diffondersi e con esse il crescere della delinquenza sostenuta da bande di bulli, alcuni fuoriusciti dalle scuole di kung fu, al soldo di faccendieri stranieri senza scrupolo alla ricerca del facile guadagno. Quando una di queste bande si presenta alla porta della scuola elementare che il figlio del maestro frequenta reclamandone la proprietà dietro un truffaldino acquisto, Ip Man diventa il paladino dei deboli contrapponendosi alla prepotenza dei delinquenti. Dall’altro lato il maestro deve far fronte anche all’ambizioso Cheung, proveniente dalla sua stessa scuola, che è deciso a dimostrare la sua superiorità nel wing chun, sebbene il suo principale scopo sia quello di metter su soldi in fretta visto che il suo umile lavoro di guidatore di risciò glielo impedisce.
Alla fine lo scontro con il diavolo straniero che muove le fila dei delinquenti e il duello che dimostri una volta per tutte la superiorità di Ip Man va ad intersecarsi con il doloroso destino della moglie del maestro affetta da cancro.
Il regista Wilson Yip decide di mantenere la stessa struttura dei due precedenti capitoli: spirito nazionalista non troppo accentuato, descrizione della città che cambia ed assume l’aspetto moderno, spirito del kung fu sempre più sottoposto a tentativi di trasformazione, aspetto umano del maestro ben sottolineato; quello che muta è la figura di Ip Man che col passare degli anni assume sempre più il ruolo ieratico del grande saggio, consapevole che i tentativi di interpretare l’arte marziale in maniera corrotta si accrescono col progredire della modernità e la diluizione delle tradizioni antiche. Una figura molto più spesso ripiegata su stessa alla ricerca di un isolamento dal mondo esteriore. La malattia della moglie inoltre lo porta ad una visione più intima della vita e degli affetti personali a scapito della sua figura di esperto sommo di arti marziali.
Non si pensi però che Ip Man 3 sia lavoro crepuscolare e basta. La forza con la quale il protagonista cerca di affermare il senso di giustizia, il rispetto e la forza interiore che deriva dal kung fu sono ben presenti e sono sempre lo sfondo dei numerosi e a volte sfavillanti combattimenti cui assistiamo, coreografati in maniera superba da Yuen Woo-Ping: confronti uno contro venti, combattimenti sulle scale e persino in un ascensore, lo scontro con il malfattore americano pugilato contro wing chun ed infine la resa dei conti finale con il tentativo di usurpazione da parte di Cheung, organizzata dalla moglie ormai malata terminale.
Insomma anche Ip Man 3 sa essere quella efficace e colorata descrizione di due mondi, quello delle arti marziali che incarna la tradizione e quello di una Hong Kong avviata sulla via della modernità, due mondi che sembrano entrare sempre più in conflitto allorquando i valori del kung fu vengono inquinati da ambizioni personali o peggio dalla fame di denaro e di facile agiatezza.
Tra i tanti momenti degni di nota, oltre ai combattimenti già citati, in particolar modo quello contro Mike Tyson, non può non essere presa in considerazione la scena in cui Ip Man va a lezione di ballo da Bruce Lee per poter finalmente regalare una danza alla moglie: indubbiamente un momento carico di divertita ironia.

Se Donnie Yen è sempre magnificamente a suo agio nel ruolo di Ip Man grazie alla sua inarrivabile tecnica, al suo fianco va segnalata l'eccellente prova di Jin Zhang, nel ruolo di Cheung, bravissimo sia sotto l’aspetto tecnico che in quello di recitazione, confermandosi ottimo artista marziale dopo la notevole performance in SPL 2; il cameo di Mike Tyson, tutt’altro che necessario alla struttura del racconto, trova un senso nel frenetico e convulso combattimento tra i due, metafora dello scontro di civiltà.


Il nostro giudizio: Il nostro giudizio è 3.5

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Massimo Volpe

"Ma tu sei un critico cinematografico?" "No, io metto solo nero su bianco i miei sproloqui cinematografici, per non dimenticarli".

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