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Tutti vogliono qualcosa - Recensione

Tutti vogliono qualcosa - Richard Linklater - 2016Richard Linklater conferma il suo talento narrativo con Tutti vogliono qualcosa, deliziosa commedia che indaga nuovamente il tema del passaggio all’età adulta con ironia e sensibilità

Settembre 1980. La matricola Jake Bradford (Blake Jenner) si prepara ad affrontare il primo anno di college alla Southeast Texas State University. Mancano solo pochi giorni all’inizio delle lezioni, e il giovane ha appena preso alloggio nella confraternita della squadra di baseball studentesca, in cui è stato selezionato come nuovo lanciatore. La convivenza con i compagni si rivelerà ovviamente complicata, fra iniziazioni goliardiche, competizione testosteronica, divertimento e ricerca continua di nuove conquiste femminili. Nonostante i dubbi e le incertezze sul futuro, il gruppo di ragazzi intraprenderà un percorso di crescita che li porterà verso la forse definitiva maturazione.
Richard Linklater ha definito Tutti vogliono qualcosa come il “seguito spirituale” del suo precedente La vita è un sogno (1993), pellicola con cui i parallelismi sono indubbiamente molteplici. Il regista americano riprende infatti molte delle tematiche a lui care, mescolando come consueto autobiografia e finzione, e delineando un ritratto generazionale personale e autentico. Si avverte quasi il bisogno dell’autore di tornare a confrontarsi con vecchi argomenti attraverso una rinnovata sensibilità, soprattutto in seguito all’esperienza narrativa di Boyhood (2014), che sicuramente ha contribuito a individuare nuovi spunti di riflessione nel trattare il rito del passaggio all’età adulta.
La sceneggiatura di Linklater trae forza dalla sua apparente semplicità, raccontando in modo puntuale il cambiamento culturale iniziato alla fine degli Anni ’70 tramite l’evoluzione interiore dei suoi personaggi. Nonostante la leggerezza con cui si cerca di rappresentare lo spirito di un ben determinato periodo storico, non si ha mai la sensazione di cadere nella sterile celebrazione malinconica dei ricordi. Il filtro della memoria accentua semmai quelle che oggi potrebbero essere percepite come stravaganze e paradossi di una società ormai mutata radicalmente, verso cui il pubblico prova necessariamente affetto nonostante la distanza temporale. Ecco perché non vengono risparmiati stereotipi e cliché associati in maniera ormai quasi iconica all’ambientazione della pellicola, senza la pretesa di volerli riqualificare o difendere, ma anzi dissacrandoli bonariamente con la loro ingenua inadeguatezza. Come suggerisce il titolo originale Everybody wants some!! (omaggio all’omonima canzone dei Van Halen), lo scopo della pellicola è proprio quello di restituire un resoconto sincero e appassionato della transizione verso la maturità, un cambiamento che si scontra col desiderio travolgente della gioventù di esplorare ogni possibilità, senza rinunciare a nulla. Il merito principale della sceneggiatura è quindi quello di emanciparsi dall’atmosfera dell’omaggio nostalgico, coinvolgendo anche lo spettatore che non ha vissuto personalmente l’influenza del periodo storico descritto, sfruttandone però la carica emotiva per dare vitalità e interesse agli avvenimenti.
In definitiva Tutti vogliono qualcosa sembra essere l’ennesimo saggio dell’autore su una delle sue ossessioni cinematografiche: lo scorrere del tempo. Mentre in Boyhood si assisteva ad una dilatazione cronologica talmente estesa delle vicende da farle sovrapporre alla vita reale, qui Linklater contrae nuovamente la durata, scegliendo (con un approccio ribaltato) di raccontare solo i pochi giorni che separano i protagonisti dall’inizio di una nuova fase delle loro vite. Si tratta di una scelta senza dubbio stimolante, in quanto la concentrazione e l’intensità dei sentimenti coinvolti (dal primo amore alle prime grandi delusioni) risultano amplificate. Nonostante alcuni limiti nella caratterizzazione dei personaggi (certi ruoli restano appena tratteggiati), ci sono momenti di grande coralità che dispensano divertimento e riflessione con un’alternanza impeccabile dei tempi comici.
La regia di Linklater è efficace proprio perché minimalista, sorretta dalla fotografia pulita di Shane F. Kelly (qui alla sua terza collaborazione) e dal montaggio funzionale dalla fedele Sandra Adair (nominata all’Oscar proprio per Boyhood). Pregevole, in particolare, il lavoro svolto dagli attori, soprattutto grazie ad alcune interpretazioni di discreto livello. Menzione speciale per la colonna sonora, curata dallo stesso autore, che spazia fra i generi contribuendo a immergere lo spettatore nelle atmosfere del film.

Tutti vogliono qualcosa è la conferma dell’abilità di Richard Linklater nel mettere in scena con disarmante semplicità storie in grado di coinvolgere intimamente il pubblico, regalando emozioni senza cedere mai alla retorica dei sentimenti. Un ulteriore passo verso una maturità artistica che si accompagna all’evoluzione dei suoi stessi soggetti.


Il nostro giudizio: Il nostro giudizio è 3.5

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Simone Tricarico

Pensieri sparsi di un amante della Settima Arte, che si limita a constatare come il vero Cinema sia integrale riproduzione dell’irriproducibile.

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