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Segreti di famiglia - Recensione

Segreti di famiglia - Film - 2015 - Joachim TrierIl terzo lavoro del pluripremiato regista norvegese Joachim Trier è una miscela che coniuga il dramma famigliare con le atmosfere austere e cupe del cinema scandinavo: Segreti di famiglia non convince a causa del suo crogiolarsi nei toni spinti da dramma, nonostante una buona tecnica di narrazione

Ad un anno di distanza dalla sua presentazione in concorso al Festival di Cannes, le imperscrutabili e misteriose vie della distribuzione cinematografica italiana conducono sui nostri schermi Segreti di famiglia, titolo italiano che cerca di stuzzicare la pruriginosità voyeuristica di Louder than Bombs del regista norvegese Joachim Trier.
Il terzo film del cineasta scandinavo parte con grandi ambizioni: infatti dopo solo due lungometraggi all'attivo, seppur distribuiti lungo nove anni, Trier dirige un lavoro ambientato negli States ed in lingua inglese, co-prodotto da Norvegia, Danimarca, Francia e Usa, affidandosi ad un cast di stampo quasi hollywoodiano.
Segreti di famiglia è film di chiaro stampo drammatico, con al centro del racconto le dinamiche famigliari che un evento improvviso e doloroso porta al loro acme: Isabelle è una fotografa di guerra, di quelle sempre pronte a fare i bagagli al volo e recarsi nei teatri di battaglia dove la sporcizia dei conflitti viene terribilmente a galla; due anni dopo la sua morte il marito ed i figli Jonah, ormai trentenne, e Conrad, ancora adolescente, si ritrovano in occasione della presentazione di una mostra dedicata alla donna. E' l'occasione dirompente che porta in primo piano una serie di conflitti parentali ed interiori che ruotano intorno alla figura della donna, nascosti dietro mezze verità e mezze bugie.
Sfruttando una pregevole tecnica narrativa frammentata (l'unico vero aspetto interessante del film), Trier ripercorre i rapporti tra i vari membri della famiglia utilizzando una giusta miscela di flashback e punti di vista incrociati, spesso, forse anche troppo, supportati da una voce fuori campo, espressione di pensieri intimi dei vari protagonisti. In questo modo scopriamo lentamente come Isabelle fosse uno di quei soggetti che sembrano non riuscire a fare a meno del lavoro, in conflitto però col suo ruolo di donna di famiglia assente per larga parte del tempo, che i rapporti tra i due coniugi, forse proprio per questa dicotomia, non erano così saldi, che entrambi i figli, respirando l'aria di malessere famigliare, soffrissero di disagi profondi; e scopriamo infine come l'elaborazione della perdita e del lutto siano processi lunghi, dolorosi e forieri di conflitti.
Nulla di nuovo, verrebbe da dire, ed in effetti è così: se si esclude lo stile del racconto, infatti, Segreti di famiglia è lavoro che ben presto scivola nel più classico dramma ad impronta famigliare, in questo caso accentuato da una serie di eventi che vanno a rendere sempre più cupa l'ambientazione, quasi a ricercare una pesantezza di atmosfere fine a se stessa. Inoltre, catturato nel suo meccanismo stilistico, il film risolve sempre i suoi snodi in maniera ovvia e frettolosa, tralasciando anche quei pochi aspetti che avrebbero meritato maggiore approfondimento (la figura del figlio più piccolo ad esempio) in favore di situazioni stereotipate quando non addirittura forzate.

Trier insomma cerca di mettere insieme la rigida ed austera narrazione di stampo scandinavo col film sociale americano, ottenendo un ibrido che, ove si eccettui l'indubbia cifra stilistica e la scelta della costruzione del racconto, lascia freddi e ben poco convinti sul valore del film, nonostante la presenza di un Gabriel Byrne che, tutto sommato, svolge il suo compito in maniera decente, sebbene senza particolari note di merito, e una Isabelle Huppert che appare come un corpo estraneo che vaga desolata all'interno del film.


Il nostro giudizio: Il nostro giudizio è 2

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Massimo Volpe

"Ma tu sei un critico cinematografico?" "No, io metto solo nero su bianco i miei sproloqui cinematografici, per non dimenticarli".

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