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Shame

Una immagine del filmSesso occasionale, pratiche autoerotiche, pornografia: viaggio nella deriva sessuomane di un trentenne di successo sullo sfondo di New York. Dopo l'apprezzato film d'esordio Hunger, Steve McQueen disegna sullo schermo la parabola angosciante e disturbante di un individuo in fuga dalle sue responsabilità   

New York. Brandon è un trentenne attraente che ha raggiunto una buona posizione sociale grazie ai suoi successi professionali. Ha però un problema che minaccia di distruggere la vita ordinata e confortevole che si è costruito per sé: la grave sessuomania di cui soffre da anni. Brandon ha infatti un'idea fissa che lo accompagna in qualsiasi luogo ed a qualsiasi ora nel corso della sue giornate: eccitarsi, facendo sesso occasionale, masturbandosi o guardando materiale pornografico. Dopo che la sorella Sissy decide di farsi ospitare da lui per un breve periodo, l'uomo entra in una profonda crisi. L'arrivo della donna risveglia in Brandon antichi rancori, facendolo sprofondare a poco a poco in una spirale autodistruttiva che lo porta ad una ricerca del piacere sempre più estrema e pericolosa.

Incontri sessuali, pratiche autoerotiche, fruizioni ossessive di pornografia si mescolano senza soluzione di continuità in Shame, viaggio nella deriva sessuomane di un trentenne senza freni inibitori, opera seconda di Steve McQueen (che aveva sorpreso tutti con l'esordio Hunger), in concorso alla 68esima Mostra del Cinema di Venezia.     
Immersi nelle immagini pastose e morbide del regista, partecipiamo ad una condizione umana miserabile che non contempla alcuna convenzionalità piccolo-borghese. Per quanto 'squallida' e senza speranza possa essere l'esistenza quotidiana del protagonista Brandon (emblema di una società che, attraverso la sua progressiva sessualizzazione, corrompe gli individui), il regista la rappresenta in forme algide ma allo stesso tempo urtanti, seguendo un preciso stile che non fa sconti a nessuno. La città di New York, nella concezione di McQueen che indugia  su una sfilata di facce, corpi, luci, non-luoghi, diventa lo scenario perfetto in cui offrire lo spazio drammaturgico 'assoluto' ad una vicenda erotica e drammatica. Ne esce un film volutamente provocatorio e cattivo, angosciante e disturbante come pochi, pesantemente manieristico nei modi della rappresentazione, eppure lontano da ogni stereotipo del cinema più torbido ed attento alle tematiche sessuali, grazie alle aspre disarmonie della messa in scena. Esaltato, infine, da Michael Fassbender, la cui interpretazione nei panni di Brandon mostra un grande talento attoriale.
Tra i sicuri valori di questa elegia esistenziale, l'uso di una macchina da presa che cerca (ed ottiene), con i colori dei tramonti e le luci fredde di New York, una ricostruzione di un ambiente dell'anima immolata e vinta dalle sue pulsioni.

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