Terraferma
- Scritto da Anna Barison
- Pubblicato in Film in sala
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La famiglia Pucillo vive in un’isola della Sicilia e qui sopravvive grazie alla pesca. Il capostipite Ernesto ha due figli, Giulietta e Beppe e poi c’è Filippo un ragazzo di vent’anni, orfano di padre, che segue il nonno sul peschereccio. Una vita serena che cambierà radicalmente quando approderanno sull’isola i primi barconi di immigrati clandestini dall’Africa. Il dilemma morale dei Pucillo sarà salvarli e quindi nasconderli, oppure lasciarli al loro destino, come prescriverebbe la legge italiana. Alla fine la solidarietà umana prenderà il sopravvento e una donna con i suoi bambini, di cui uno appena nato, sarà prima nascosta e poi aiutata a fuggire nella sognata Terra ferma.
Una rete viene gettata in mare. Pian piano riempie lo spazio, si fa oppressiva, quasi a voler inghiottire tutti coloro che nel mare ci vivono o che cercano la salvezza. Si apre con questa tragica e nuova visione del mare, l’ultimo atteso lavoro di Emanuele Crialese, Terraferma, un film “malavogliano”, dove un’isola della Sicilia – il film è girato a Linosa, ma vista la cronaca è lecito pensare a Lampedusa – diventa, con i suoi abitanti e il suo mare, la protagonista di un dramma corale, incentrato sull’incontro tra alcuni profughi clandestini e gli isolani.
Beppe Fiorello, Donatella Finocchiaro, Mimmo Cuticchio e Filippo Pucillo (lampedusano che già aveva lavorato con Crialese) sono i componenti della famiglia Pucillo, persone semplici che si trovano catapultati in una realtà soffocante: prima il lavoro che manca, poi la decisione di aiutare dei profughi in mare e nasconderli.

Crialese racconta due mondi: quello degli isolani e quello degli immigrati. Sono mondi lontani i loro, ma alla fine combaciano nelle loro aspettative, perché entrambi cercano una via di fuga e sopravvivere dignitosamente, assicurandosi una vita migliore. Ne è un esempio il rapporto tra Giulietta, la madre di Filippo, e Timnit, la donna che ha salvato. Prima Giulietta avrà un atteggiamento ostile, poi imparerà ad avere con lei una totale sintonia, una solidarietà femminile che scavalca le barriere culturali e linguistiche. La storia narrata prende spunto proprio da Timnit, una donna nigeriana che è davvero sopravvissuta all’attraversamento del mare su un barcone, una delle poche superstiti.
Crialese ancora una volta, dopo Respiro e Nuovomondo, fa del mare il protagonista centrale del suo film e grazie a questo, riesce a dare vita ad un’opera intensa, soprattutto nelle scene più forti, come quelle del salvataggio dei profughi in mare. Per certi aspetti, tuttavia, il film rimane irrisolto, come se non riuscisse a scandagliare fino in fondo le dinamiche che spingono degli uomini e delle donne a intraprendere la decisione di salvare altre vite, a discapito delle leggi, delle loro paure, delle loro ostilità. Un film che ha comunque il pregio di osservare una realtà che emoziona perché autentica e piena di spunti, che Crialese riesce ad inseguire e ad intrappolare nella sua “rete” cinematografica.
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