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Alps - Recensione

Alps - Recensione - Film - 2011 - Yorgos LanthimosDopo Kyonodontas, Yorgos Lanthimos dirige un altro lavoro al limite: Alps è un'autoriale riflessione sulla realtà e sui ruoli, sul cinema e sugli angoli più oscuri dell'animo umano

Chi rimase fulminato da Kynodontas non potrà fare a meno di vedere Alps, l'ultima fatica di Yorgos Lanthimos, regista greco di indubbio talento e bravura, non tanto perché Alps raggiunge le vette del precedente, ma perché il marchio del regista è assolutamente leggibile e non sfugge in nessun modo.
Lanthimos è indagatore e disegnatore dei lati più nascosti dell'animo umano, spesso i più detestabili, sicuramente quelli che mostrano una fragilità e una irrazionalità al limite del surreale. Le Alpi sono montagne maestose, insostituibili, nulla può prendere il loro posto e per tale motivo quattro personaggi che si dedicano ad offrire surrogati di persone morte decidono di dare all'agenzia casereccia questo nome. Quattro personaggi che si sentono in primis attori di un dramma al quale confidano di dare un minimo di luce attraverso il buio nel quale si trova chi ha subito l'abbandono, ma che ben presto scopriremo essere loro stessi, probabilmente, i personaggi più problematici della storia.
I genitori che perdono la loro giovanissima figlia, un'anziana donna cieca rimasta senza marito, un uomo che ha perso la fidanzata: questi sono i committenti cui i quattro debbono una messinscena che colmi il vuoto, ma man mano che la storia va avanti ci si rende conto come in effetti lo scambio sia basato su una mutualità necessaria. Non solo i committenti debbono colmare un vuoto, anche i protagonisti in quel vuoto creano se stessi, dandosi un ruolo e uno spessore al punto che verso il finale non si capisce quasi più dove finisce la realtà (il padre è il vero padre? L'allenatore è il vero allenatore?) ed inizi la finzione.
Lanthimos mette forse troppa carne al fuoco: la riflessione sul ruolo dell'attore (la ossessiva domanda "Chi era il suo attore preferito?" fatta ai parenti del defunto da sostituire, quasi che la realtà surrogata dovesse avere necessariamente una controparte cinematografica), la ferita che causa la perdita e la sua cura inverosimile e artificiosa, la solitudine e la crisi di identità, tutti argomenti che il regista tratta, sia tecnicamente che narrativamente, in maniera non sempre valida con una forte impronta autoriale che alla fine va a scapito del film stesso. Frequenti sono le immagini tagliate, corpi che parlano con le teste fuori quadro, tremolii della camera, riprese che sembrano approssimative; Lanthimos abbandona quella fredda glacialità vicina alla perfezione che ci aveva regalato in Kynodontas per un racconto più sfaccettato è vero, ma che mostra anche qualche crepa.

Il film comunque ha molto da dire e quelli che appaiono come difetti sono più dovuti ad una scelta di regia non sempre convincente che a falle della sceneggiatura; Alps sa far pensare, riesce ad essere provocatorio con qualche impulso di violenza e di scabrosità, lascia una certa inquietudine e ci pone anche diversi interrogativi, confermando, pur con i limiti accennati, come Lanthimos sia regista mai ovvio, conoscitore dei lati oscuri dell'animo e della mente umana.




Il nostro giudizio: Il nostro giudizio è 3.5

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Massimo Volpe

"Ma tu sei un critico cinematografico?" "No, io metto solo nero su bianco i miei sproloqui cinematografici, per non dimenticarli".

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