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1981: Indagine a New York - Recensione

1981: Indagine a New York - 2014 - Film - RecensioneTerzo e miglior film di J.C. Chandor. Un elegante crime movie che, pur recuperando la tradizione del genere, mantiene una certa originalità, con una ricchezza di sfumature morali sulle quali è costruito il cuore della narrazione che si avvale tecnicamente di una splendida fotografia e artisticamente di ottime interpretazioni

Il titolo in italiano, 1981: Indagine a New York, appare come la solita, discutibile, infelice scelta di un adattamento fatto seguendo un ragionamento che mette in secondo piano il rispetto dell’originale a vantaggio di tattiche distributive che dovrebbero aumentare l'appeal per il pubblico grazie a una più facile identificazione del genere di film. E se nel genere, quello noir, si può incasellare il terzo lavoro firmato da J.C. Chandor dopo Margin Call e All Is Lost, bisogna però specificare subito che A Most Violent Year (per ricordare il titolo originale) presenta delle ricche sfumature che lo rendono piuttosto originale rispetto alla classica crime story.
La storia è ovviamente ambientata a New York. Nel 1981, anno considerato tra i più criminosi, violenti della storia della città. Abel Morales è un ispano-americano che insieme alla moglie Anna, figlia di un gangster di Brooklyn, gestisce un'azienda di olio combustibile con grande rigore morale, cercando di fare affari onestamente, in maniera pulita. Non manca però d'ambizione e il suo progetto di sviluppo prevede ora l'acquisto, da una famiglia ebrea, di un terreno sul fiume Hudson dove ci sono dei magazzini e dei serbatoi per il deposito del carburante che permetterebbero alla sua attività di avere una posizione di vantaggio rispetto alla concorrenza. L'affare però quando è già arrivato a buon punto rischia di naufragare e far cadere a picco l'azienda di Abel che si ritrova a fare i conti con la violenza crescente a New York: i suoi autisti vengono assaliti da delinquenti e arrivano minacce anche alla sua famiglia. A complicare le cose c'è l'insistenza di un procuratore che indaga sulla contabilità dell’azienda, minacciando di metterla sotto accusa per truffa ed evasione fiscale. Il precipitare della situazione minaccia di distruggere tutto quello che Abel ha costruito cercando di scegliere il percorso più corretto, quello che appare difficile seguire in un mondo sempre più corrotto e violento.
È su questa moralità messa in crisi dalla realtà circostante poggia le fondamenta la solida sceneggiatura di Chandor che trova espressione in una regia attenta, ed efficace nell'indagare i protagonisti e le loro discussioni, e resa ancora più convincente da una stupenda fotografia (firmata da Bradford Young) che con i suoi toni freddi arricchisce di fascino vintage la Grande Mela. Il tutto raccontato, coraggiosamente, con toni sommessi. Senza particolari colpi di scena, senza forti scene violente che uno potrebbe aspettarsi, senza cambi di ritmo se si esclude un bell'inseguimento nella seconda parte del film. Una rappresentazione che rispecchia l'atmosfera scura della storia raccontata da Chandor, capace di restituire perfettamente il clima di tensione che aleggia sin dalle primissime scene. Una tensione prettamente di natura psicologica che arriva allo spettatore attraverso la figura di un uomo che si sforza di essere giusto, corretto, in un mondo che per sopravvivere sembra invece pretendere il contrario. L'inganno, la corruzione, la violenza mostrano le crepe del sogno americano incarnato da Abel Morales: "Mister fucking american dream!" come dice in una delle scene più importanti del film Jessica Chastain che nella parte di Anna disegna un altro grande ruolo nella sua sempre più ricca galleria di personaggi memorabili. Forse anche troppo piccolo lo spazio riservato all'attrice che affianca un Oscar Isaac autore di una prova maiuscola.

Passate le due ore, sullo scorrere dei titoli di coda, la sensazione che lascia il film è subito quella di aver visto un'opera compiuta, senza punti deboli, un crime movie elegante e convincente che, pur recuperando la tradizione del genere, mantiene una certa originalità. Con una ricchezza di sfumature morali sulle quali è costruito il cuore della narrazione che si avvale tecnicamente di una splendida fotografia e artisticamente di ottime interpretazioni.


Il nostro giudizio: Il nostro giudizio è 4

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Fabio Canessa

Viaggio continuamente nel tempo e nello spazio per placare un'irresistibile sete di film.  Con la voglia di raccontare qualche tappa di questo dolce naufragar nel mare della settima arte.

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