The Forbidden Room - Recensione
- Scritto da Adriana Rosati
- Pubblicato in Film fuori sala
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The Forbidden Room nasce dall’evoluzione di una commissione di istallazioni per l’apertura nel 2010 del Lightbox, il centro culturale di Toronto e sede del Toronto Film Festival. Guy Maddin con l’aiuto di Evan Johnson produsse allora una composizione di frammenti cinematografici chiamata Hauntings, ispirata a film perduti degli Anni ‘20 e ‘30. Qualche anno dopo Hauntings venne sviluppato ed ampliato in un progetto di cinema improvvisato per gallerie d’arte di Toronto e Parigi dal titolo Seances, che ha ispirato la produzione parallela di The Forbidden Room. Il titolo stesso del film è preso da uno scomparso film muto del 1914, diretto dal regista canadese Allan Dwan.
Fare una sinossi di The Forbidden Room è praticamente impossibile perché è un film a tutti gli effetti ma nello stesso tempo è una serie di particelle di film che, come una scatola cinese, ne rivelano altre in una successione di metamorfosi.
Il film è introdotto dall’attore Louis Negin, che ha lavorato più volte con Maddin, il quale ci illustra “Come farsi il bagno”, una buffa lezione di etichetta dal sapore Anni ’60. Ma ecco che improvvisamente siamo in un sottomarino in pericolo, forse nella stessa acqua della vasca da bagno. Il capitano è chiuso nella sua stanza e i marinai temono la deflagrazione del pericoloso carico di gelatina esplosiva che il sottomarino trasporta, quando da un compartimento stagno sbuca un boscaiolo canadese che cerca aiuto per liberare Margot, una giovane donna tenuta prigioniera dai lupi in una caverna.
Inutile dire che il film prosegue con questo tono lisergico in una lunga serie di storie che si dissolvono una nell’altra, di cliché naif e di personaggi melodrammatici e stravaganti come un ladro di calamari, un Aswang vampiro-banana filippino (Google per credere), un uomo lobotomizzato per curare la sua mania di pizzicare i sederi, un marito che uccide per coprire la sua dimenticanza del compleanno della moglie, un alter ego maligno dal nome Lug Lug, persino le memorie di un baffo. The Forbidden Room è a tratti melodrammatico e sopra le righe ma bilanciato da una vena di comicità surreale e liberatoria.
L’intero film è pesantemente post-prodotto e alterato per ottenere un effetto di decomposizione di nitrati. I colori a volte ricordano le foto colorate a mano, a volte emulano la sfacciata semplicità dei primi procedimenti Technicolor (il sottrattivo a due colori o Process-2), altre volte ancora un contrastato e sgraffiato bianco e nero è usato per drammatizzare una storia noir. Alcuni frammenti sono muti, con il testo tra una scena e l’altra, altri sono enfaticamente doppiati, altri hanno una voice over. Le storie passano da una all’altra, introdotte a volte da finti titoli di testa in stile vintage con una fantastica varietà di caratteri e stili e le dissolvenze narrative sono illustrate con un elaborato effetto data-moshing che trasforma il glitching in antichi sbiadimenti o simula quelle dilaganti bruciature di pellicola familiari a chi ricorda le proiezioni casalinghe di Super8. Tra i numerosi attori che recitano con enfasi e manierismo di altri tempi, ci sono volti noti come Charlotte Rampling, Mathieu Amalric, Geraldine Chaplin, Udo Kier, Maria de Medeiros e alcuni di loro interpretano più di un personaggio.
Volendo cercare ci sono numerosi riferimenti, citazioni dotte e 'ganci' che si possono scovare e motivazioni da analizzare, ma non è il modo giusto, a mio avviso, per affrontare quest’opera che va goduta comodamente al cinema come un’intensa ed esplosiva esperienza sensoriale. Sarà come perdere la bussola in un Lunapark: inutile fare resistenza, tanto vale divertirsi. Nell'attuale panorama, dominato da noiosissimi film di franchising che tristemente hanno già pianificato a tavolino le nostre decadi a venire, questo elegante delirio di film è una doccia fredda rinvigorente che restituisce fiducia nel potere dell’immaginazione.
http://linkinmovies.it/cinema/fuori-sala/the-forbidden-room-recensione#sigProIdcb773eb2df
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Adriana Rosati
Segnata a vita da cinemini di parrocchia e dosi massicce di popcorn, oggi come da bambina, quando si spengono le luci in sala mi preparo a viaggiare.