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Slow West, conversazione con il regista John Maclean

John Maclean. Ovvero come arrivare da A (strappare biglietti in un cinema) a B (scrivere e dirigere un film western con Fassbender e vincere al Sundance) e rimanere con i piedi per terra

Capelli rossi arruffati e aria tranquilla, John Maclean mi aspetta al bar dei membri BAFTA a Londra bevendo tè. È subito piacevole notare che non corrisponde allo stereotipo trito del cinematografaro hipster né al musicista tormentato. Eppure John viene da una maratona di fruttuoso lavoro in due dei settori più modaioli, affollati e competitivi che ci siano, la musica e il cinema, e con tipico ‘understatement’ (scozzese in questo caso) ne emerge calmo e rassicurante con un’aria da giovane professore di lettere di liceo.

L’intervista. Lo incontro per parlare di Slow West, film da lui scritto e diretto (in Italia arriverà nel 2016, qui la recensione), ma bastano pochi secondi per capire che in realtà non voglio eviscerare ancora il suo bel film che in queste ultime settimane è stato letteralmente triturato e analizzato al microscopio in una corsa pseudo-intellettuale a chi trova più citazioni, rimandi e allusioni.
John ride a questo proposito e ammette che critici e giornalisti si sono sbizzarriti e hanno tirato fuori nomi e ispirazioni che nemmeno lui avrebbe sospettato. “La cosa peggiore è quando dicono che mi sia ispirato a Wes Anderson perché proprio non mi piace e non so che dire in proposito! Però dei fratelli Coen è vero che siano un’influenza e ne sono molto orgoglioso perché ammiro molto il loro lavoro”.
Così metto via il quadernetto con le domande faticosamente elaborate e via che si chiacchiera a ruota libera. Quello che veramente mi interessa è sapere di più di John Maclean e del suo percorso pre-Slow West, capire come sia atterrato così morbidamente sul tappeto rosso con un’opera prima rifinita ed elegante.

Gli inizi. Sicuramente venire da una famiglia di artisti e aver studiato arte lo hanno aiutato a formare un ben preciso gusto estetico. John mi dice “lavoravo nel cinema quando ero studente” e io mi stupisco di questa esperienza giovanile che mi era sfuggita… Ma lui: “No, no, lavoravo nel senso che strappavo i biglietti e facevo la maschera nel cinema Cameo di Edimburgo e questo mi ha permesso di vedere molti film di tutti i generi. Un giorno ho visto C’era una volta il West che mi ha colpito molto e da lì sono andato all’indietro a vedere tutto Leone, tutto Ford e via dicendo”.
Pittura è quello che ho studiato, ma in realtà sono stato sempre affascinato dalla tecnica del collage che ho usato per eseguire varie copertine di album e poster per la Beta Band (il gruppo musicale fondato con altri 3 musicisti nel 1997 di cui Maclean era tastierista, ndr.) e da lì ho sempre curato l’immagine della band compresi i video”. John ha scritto ed eseguito video per la band con un budget ridicolo se non inesistente, però è sempre riuscito, come un parco artigiano, ad ottenere il meglio dal poco disponibile, una grande abilità che gli è tornata molto utile in seguito. Qualche video per cui ha avuto un po’ di fondi in più è visibile su YouTube, come Assessment o Squares (una ripresa di Capricorn One) che rivelano il suo amore per i film di genere, e il divertente Trouble, una storia di vendetta di un samurai scozzese in kilt che con mia grande gioia conferma che John è anche un fan di cinema asiatico. Così gli racconto che poche settimane fa ero proprio qui alla sede BAFTA ad ascoltare Johnnie To che raccontava del suo modo bizzarro e improvvisato di girare, quasi senza copione. John sussulta: “Wow! No, io non sono così, io lavoro con degli storyboad ben precisi. Certo, lascio sempre un margine di imprevisto, ma mi piace lavorare così, lo trovo più facile”.

I corti e l’incontro con Fassbender. Ma torniamo alla sua storia. Una volta sciolta la band nel 2004, John continua a mettere insieme cortometraggi girati con idee ma senza fondi e un suo amico, l’agente di Michael Fassbender, li fa vedere all’attore che al tempo già lavorava con Quentin TarantinoFassbender li guarda, gli piacciono e decide che vuole fare qualcosa con lui, gli concede un giorno. E in un giorno JohnFassbender creano Man on a Motorcycle, un cortometraggio in bianco e nero girato e montato con un Nokia che ora considereremmo preistorico. Il corto che racconta una giornata di un corriere in moto, smuove l’interesse di Film4, che è la casa di produzione che più aiuta i giovani registi in UK e che decide di supportare e produrre un suo secondo corto. Fassbender stavolta gli regala 3 giorni ed ecco Pitch Black Heist, storia in bianco e nero di una rapina al buio, con un altro attore britannico di peso, Lian Cunningham. Questo corto gli farà vincere un prestigioso BAFTA 2012 Award (gli Oscar britannici).
Devo dire che vincere il premio, anche se non è mai stato il mio obiettivo, è servito a rendere tutto più tranquillo e facile. I miei cortometraggi non erano mai stati pensati come un trampolino di lancio o un assaggio di un film più lungo, io amo veramente le storie corte, sono affascinato dai racconti brevi che iniziano, colpiscono e finiscono. Ma dopo Pitch Black Heist le aspettative e i tempi erano maturi per un film lungo. Michael (Fassbender) era con me come attore e co-produttore prima ancora di vedere la sceneggiatura e così abbiamo cominciato a tirare fuori idee e ho scritto questa favola, Slow West”.

La lavorazione di Slow West. Il film è stato girato nel mezzo dell’Isola Settentrionale della Nuova Zelanda in sei settimane che, a detta di John, sono state tranquille e senza intoppi, anche se a quel punto avevo capito che ci vuole come minimo un tifone per scomporre John. “Lo scenario del film è veramente magnifico, non il solito deserto + canyon + palle di sterpi portate dal vento. Il team neozelandese e maori era composto di professionisti formatisi in anni di mega produzioni di Peter Jackson che sapevano il fatto loro e le settimane sono passate tra lavoro, risate, tornei di calcetto e roccia al weekend”.
Immancabile l’aneddoto: “L’addestratore di cavalli neozelandese era in tutto e per tutto un ‘cowboy’ con stivali e cappellone, tanto che ovunque andassimo si formava un capannello di folla convinta che fosse lui la star del film, con grande gioia di Michael (Fassbender) che poteva così prendersi una vacanza dallo stress del suo status di celebrità Hollywoodiana”.
Unico imprevisto è stato l’attore australiano Ben Mendelsohn, che ha dovuto ridurre la sua disponibilità da tre settimane a tre giorni! John impassibile mi dice che tanti anni di lavori low budget lo hanno abituato a tutto e che con un’attenta programmazione è riuscito a girare tutte le scene con Ben in tre giorni.
Insomma, il girato è stata una passeggiata, ma una volta tornati alla realtà della postproduzione è cominciata una fase lunga e difficile”. Il montaggio in particolare è stato complicato e poi tutti i collaterali, come ad esempio la scelta del poster così dibattuta e difficile. “Non posso lamentarmi però, devo essere grato di aver fatto un film che meriti un poster!”. (Ma è reale quest’uomo?).
Come ci si aspetterebbe da un ex musicista, la musica e le ballate sono state pensate con gran cura (“Non più di tre strumenti alla volta e rigorosamente strumenti dell’epoca”) e affidate al compositore Jed Kurzel (Babadook, 2014). Altri brani sono stati prodotti in ‘famiglia’, da Lone Pigeon (Gordon Anderson, co-fondatore di Beta Band) e Django Django (gruppo musicale del fratello di John, David Maclean).

Sundance. Tutto era pronto per il Sundance. “Andare al Sundance è stato emozionante e anche terrificante. Mi sono reso conto che stavo portando una storia americana/western in America, in un festival che prende il nome da un film western”. Il resto è noto: Premio della Giuria World Cinema Dramatic. Anche qui John ribadisce che il vero vantaggio del premio è stato di avergli permesso di cominciare subito a dedicarsi al prossimo progetto in tutta tranquillità, una storia noir contemporanea che sta già scrivendo. Posso aggiungere che John è una delle persone meno stressate che abbia incontrato e sono sicura che l’ansia da seconda prestazione non lo affliggerà più di tanto.
Ci salutiamo con simpatia e John mi promette che ordinerà un DVD di Johnnie To che gli ho suggerito di vedere (Breaking News, per l’incredibile piano sequenza iniziale di sette minuti e mezzo).

John Maclean ha definito Slow West una favola ed il film inizia infatti con il classico “C’era una volta”. Anche la sua carriera può sembrare una favola a lieto fine, ma nessun intervento soprannaturale la ha aiutata, piuttosto una caparbia determinazione e una visione chiara e focalizzata. John è un eccentrico mix di pragmaticità di metodo e creatività a ruota libera ed è un mix ben calibrato.



Adriana Rosati

Segnata a vita da cinemini di parrocchia e dosi massicce di popcorn, oggi come da bambina, quando si spengono le luci in sala mi preparo a viaggiare.

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