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Yakuza Apocalypse - Recensione

Frenetico pastiche di generi, personaggi e situazioni assurde, Yakuza Apocalypse ci conferma l'estro anarchico e sorprendente di Takashi Miike anche quando il film non è certo di quelli da tramandare ai posteri

Ogni film di Takashi Miike è una sorpresa: sia esso bello o brutto, interessante o dozzinale, c’è sempre qualcosa per cui valga la pena vederlo. Non sfugge a questa regola il secondo film diretto da Miike nel 2015, Yakuza Apocalypse, presentato all’ultimo Festival di Cannes nella Quinzaine des Réalisateurs come proiezione speciale e successivamente proiettato in numerosi altri festival tra cui Toronto e Londra.
L’opera del regista giapponese è un assurdo connubio tra lo yakuza movie di stampo personale e il vampire movie: il boss della yakuza di un piccolo centro di provincia è infatti un imbattibile vampiro che governa con fare paternalistico e bonario, ma feroce quando serve, le sorti della comunità, quasi un nume tutelare per la popolazione contro le prepotenze. Il giovane Kagayama è estasiato dalla figura del boss e per tale motivo si arruola nella sua gang con un misto di rispetto e devozione.
Quando un fantomatico gruppo internazionale per il controllo della criminalità manda due scagnozzi dal boss per imporgli di tornare nei ranghi e comportarsi come vero malavitoso, quasi rifiuta e viene ucciso riuscendo però a trasmettere i suoi straordinari poteri vampireschi al discepolo devoto. Da qui in poi inutile cercare di racchiudere in poche parole la trama del film, un po’ perché la storia vaga in territori dove regna l’anarchia narrativa in favore di situazioni e personaggi anche temporanei ma che danno un senso al film, un po’ perché il pastiche è talmente frenetico da risultare inenarrabile. Basti sapere che chiunque venga morso dal vampiro-yakuza non solo diventa un succhiasangue ma anche uno yakuza con le conseguenze facilmente immaginabili.
A parte la premessa iniziale sulla commistione di generi, Yakuza Apocalypse, in un tripudio di cinema esplosivo, spesso eccessivo e ridondante, diventa la passerella di personaggi che solo la fantasia sfrenata e un po’ cialtrona di Miike riescono a concepire: ragazzini che impugnano l’ascia una volta morsi dal vampiro e cercano vendetta, il sicario con una piccola bara sulle spalle a mo' di zaino che sembra uno strano mix di Don Abbondio e di Django, l’altro sicario che sembra un escursionista ma con una padronanza delle arti marziali eccelsa, donne-yakuza che spurgano sostanze lattiginose dalle orecchie a schizzo, il killer supremo che combatte il nostro eroe con le fattezze addirittura di una rana-pupazzo, uomini-tartaruga, loschi figuri tenuti in catene a fare la maglia; insomma, soprattutto per chi conosce Miike, una carrellata tipica, espressione dell’anarchia e della follia espressiva del regista.
Mescolare i generi (yakuza movie, vampiri e western) e usare personaggi della tradizione nipponica è marchio di fabbrica di Miike. Di violenza che sconfina nello splatter probabilmente ce n’è meno che in altri lavori. Quello che però Yakuza Apocalypse ci dice e ci mostra è un regista che imperterrito e noncurante dell’aspetto più commerciale continua a dare spazio infinito alla sua fantasia e alla sua concezione di cinema che di sicuro farà storcere il naso per l’ennesima volta ai puristi dei generi, ma che conferma come Miike sia al momento, a prescindere dalla qualità effettiva della sua opera, uno dei pochi registi che ancora, ogni volta, immancabilmente, riesce a creare quello stupore che è la quintessenza del cinema sin dai primordi.
Yakuza Apocalypse non è certo tra i suoi film migliori, anzi presenta qualche pecca soprattutto nella parte centrale in cui il ritmo tende a scemare pericolosamente, ma nonostante ciò ci regala momenti di cinema impazzito, schegge fuori (apparentemente) da ogni controllo, libertà espressiva e potenza evocativa decisamente fuori dal comune.

Sta tutta qui l’unicità di Takashi Miike: riuscire a lasciare un segno quasi sempre, grazie ad uno stile che è ormai sì firma leggibilissima ma al contempo in continua evoluzione e alla ricerca di innovazione.


Il nostro giudizio: Il nostro giudizio è 3

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Massimo Volpe

"Ma tu sei un critico cinematografico?" "No, io metto solo nero su bianco i miei sproloqui cinematografici, per non dimenticarli".

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