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Le mille e una notte - Arabian Nights (Volume 1, 2, 3) - Recensione

Le mille e una notte - Arabian Nights - 2015 - Miguel GomesMiguel Gomes ricerca e sperimenta una nuova forma di espressione completa, sospesa tra poesia e celluloide: il risultato è un film diviso in tre volumi in cui realtà e immaginazione si fondono in un bellissimo, complesso e multiforme tessuto narrativo e visivo

Fare questo film è stata l’idea più stupida della mia vita! Come si può fare un film di rilievo sociale quando vuoi riprendere storie meravigliose?” Questo scrive, con il misurato gusto per l’iperbole, Miguel Gomes a proposito del suo ultimo lavoro Le mille e una notte - Arabian Nights che al Festival di Cannes 2015 è risultato, a detta della critica di ogni continente, il miglior film di tutta la rassegna, sezioni collaterali incluse, visto che figurava nella Quinzaine des Réalisateurs (complimenti ai selezionatori del Concorso, troppo impegnati a infarcire il programma di pellicola francesi insulse…).
Prima di ogni valutazione critica dell’opera di Gomes vanno fatti i complimenti alla Milano Film Network che ha avuto il coraggio di distribuire un film come questo, non certamente semplice e tanto meno alla portata di tutti: una dimostrazione lodevole di sensibilità per l’arte cinematografica, purtroppo non comune in Italia.
Gomes risponde alla sua domanda gettando sul piatto un’opera bellissima, complessa, multiforme, ricca di mille sfaccettature che proprio nella risposta alla domanda che si fa il regista regala il suo fulgore narrativo.
Arabian Nights è un'ampia e ambiziosa disamina della condizione del Portogallo, riportata attraverso il racconto di episodi avvenuti tra il 2012 ed il 2013, cui si aggiungono riflessioni storiche, sociali, antropologiche inerenti sempre la condizione del Paese, uno tra i primi a soccombere sotto i colpi della crisi economica che ha spazzato l’Europa. L’espediente che Gomes utilizza è un piccolo virtuosismo letterario che trova la premessa nel prologo del film stesso: un regista incapace di dare corpo alla sua esigenza di rappresentare l’odierna condizione del Paese, scappa e lascia il compito di raccontare le storie alla bella Sharazade, protagonista appunto della raccolta di novelle Le mille e una notte. Ecco quindi che prendendo in prestito la struttura narrativa dell’opera vediamo scorrere sotto forma di racconti spesso ammantati di fantastico momenti della vita portoghese, di un popolo in difficoltà racchiuso nei suoi tormenti.
Lo stratagemma strutturale non è altro quindi che quello de Le mille e una notte stesse: ed ecco quindi che nei tre volumi nei quali il film è suddiviso (dai titoli di Inquieto, Desolato, Incantato) si susseguono storie fantastiche e metafore sociali e politiche, che si generano molto spesso in un crogiolo di epoche tra loro inverosimilmente connesse, ognuna di esse introdotte dalla voce di Sherazade nel corso delle tante notti insonni passate a raccontare storie al suo Re.
Gomes non utilizza né uno stile narrativo codificato né tanto meno coerente: spesso i suoi racconti sembrano delle autentiche allegorie anarchiche e folli, capaci però di svelare il senso recondito a chi guarda. Si passa quindi dall’approccio documentaristico sui lavoratori del cantiere navale di Viana do Castelo al bunueliano e spietato Gli uomini ce l’hanno duro, autentico schiaffo in faccia agli artefici dell’austerità europea, per passare poi al fiabesco racconto sul gallo che subisce il processo (episodio realmente accaduto e recitato dai reali protagonisti), uno dei più belli e ricchi di morale, e poi incendi che scoppiano per amore, disoccupati sull’orlo della povertà, bagni di Capodanno nell’oceano tra una balena esplosa e una sirena boccheggiante sulla spiaggia, per tornare poi all'episodio più squisitamente romanzato del bandito imprendibile che diventa un piccolo eroe. E ancora il surreale racconto sotto forma di tragedia greca con tanto di anfiteatro dove storie su storie si affastellano; lo sguardo sui palazzoni sorti sulle ceneri delle favelas di Lisbona che nascondono un cuore pulsante di storie colorate e tristi, il cane che incontra il suo fantasma per finire alla stessa Sherazade che si interroga sulle sue sorti e su quelle della sua famiglia e che anela di conoscere il mondo fuori dal palazzo di una Baghdad incredibilmente affacciata sul mare prima che questo si trasformasse in deserto (forse il racconto più bello in assoluto) e all’incredibile storia, un autentico documentario girato col piglio del miglior Wang Bing, sugli addestratori di fringuelli fino alle tensioni sociali e alla rievocazione, quaranta anni dopo, della Rivoluzione dei Garofani.
Riuscire a mantenere costante per quasi tutte le sei ore del film il senso di stupito divertimento e di riflessione non è compito semplice, ma Gomes, grazie ad un lavoro che sembra voler abbracciare forme letterarie e forme cinematografiche le più disparate, ci riesce alla perfezione, e anche laddove qualche segmento delle storie appare meno riuscito è tanto il senso del fantastico e il gusto del racconto che quasi non si avvertono difetti.
Quindi, caro Miguel Gomes, la risposta alla tua domanda iniziale è sì, è possibile, soprattutto quando la pellicola gronda umanità ed empatia, impegno sociale e raffinatezza narrativa. Assistere ad Arabian Nights è come salire su un treno che attraversa uno spazio enorme e che dai finestrini ci rimanda le immagini di un mondo che non ha confini né limiti.
Il film va goduto in ogni suo aspetto: nei colori, nei suoni, nei volti segnati e nella meraviglia, nell’umanesimo che traspira, nelle assurde fusioni temporali in cui le scimitarre, i turbanti e i cammelli vanno a braccetto con le sigarette, coi cellulari e con le prostitute, nelle situazioni fuori dal tempo che hanno perso ogni attracco, nello sguardo indulgente che il regista posa sui suoi personaggi o semplicemente sui pugni chiusi che stringono un garofano rosso in coloro che cantano l’inno nazionale portoghese.

Espletate i bisogni fisiologici e mettetevi comodi: le sei ore di Arabian Nights vanno vissute tutte di un fiato, come è d’obbligo nei film che lasciano il segno profondo nel Cinema, perché il film di Gomes ha il raro pregio di ricercare e sperimentare una nuova forma di espressione completa, sospesa tra poesia e celluloide.


Il nostro giudizio: Il nostro giudizio è 4.5

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Massimo Volpe

"Ma tu sei un critico cinematografico?" "No, io metto solo nero su bianco i miei sproloqui cinematografici, per non dimenticarli".

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