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The Assassin - Recensione

Una non-recensione è quello che questo splendido film si merita

Recensire The Assassin mi riempie di ansia.
Forse perché su questo film è stato scritto di tutto, ogni sorta di critica, paragone, lode e insulto. È stato definito da Estasi a Mondezza, da Capolavoro a Vuoto come uno splendido vaso Ming. Sicuramente un film che ha dato da discutere e che ha portato in superficie il meglio e il peggio del virtuosismo di penna.
Un peccato perché avrei proprio voluto vederlo da 'vergine', senza aver letto o visto o ascoltato nulla. Ma questo sarebbe stato possibile solo se mi fossi rintanata in una caverna 4-5 mesi fa e ne fossi uscita ieri.
Tutti sono andati a vederlo aspettandosi qualcosa di ben preciso e chi quel qualcosa non lo ha trovato ne è uscito furioso.
The Assassin è un film che ha deliziato la critica e la cricca dei festival, ma questo spesso aliena le simpatie del pubblico delle sale perché automaticamente lo si immagina duro da masticare o perché ci si chiede segretamente: “Lo capirò?”. Leggere troppe recensioni di questo film non ne facilita il godimento e per questo stavolta ho preferito scrivere un’introduzione invece di una recensione. Io penso che ci siano due cose fondamentali che possono generare malintesi sul film, una è la poca dimestichezza con il regista e il suo stile e l’altra è un equivoco comune sul termine wuxia.
Perché questi due elementi sono importanti? Non c’è nulla di male a non avere familiarità con Hou Hsiao-hsien e il suo stile, ma saperne un pizzico aiuta per poter godere appieno del suo ultimo film e per sapere cosa non aspettarsi.
The Assassin infatti è perfettamente il linea con l’opera precedente di Hou Hsiao-hsien. Molti dei suoi temi ricorrenti sono presenti: la famiglia, le donne forti, la memoria, il fato, stralci di vita quotidiana. La sua arte passa per le sue esperienze intime e personali che hanno un ruolo fondamentale nel processo creativo. Hou Hsiao-hsien è il maestro del cinema lento e del realismo e questo film non tradisce questa cifra stilistica, anche se lentezza e azione potrebbero sembrare incompatibili.
Hou Hsiao-hsien è anche un genio nella composizione delle immagini. The Assassin è un susseguirsi di splendidi quadri, perfettamente bilanciati, riccamente composti e densi di particolari, pieni di livelli e profondità che si animano lentamente e nel loro susseguirsi raccontano una storia.
Inoltre questa è un’opera della maturità di un regista che nella sua carriera si è occupato a fondo di temi politici legati alla sua Taiwan e che ora invece, in questa fase della vita, ha scelto di spostare l’attenzione sulla bellezza e il sentimento e si è preso tutto il tempo e la pazienza necessari per mettere in scena una storia letta negli anni dell’università e ambientata nel periodo di maggiore eleganza della Cina, la dinastia Tang.
The Assassin è un wuxia? Lo è. Ma wuxia è qualcosa che il grande pubblico in Occidente ha conosciuto solo grazie a La tigre e il dragone o La foresta dei pugnali volanti o Hero. Wuxia nasce nella letteratura popolare e si concede docilmente al mezzo cinematografico nei film degli Show Brothers degli Anni '60-'70, poi nell’interpretazione più profonda di King Hu mette le ali negli Anni '80 con il fiorire del wire-work, viene infuso di inquietudine e pena da Wong Kar-wai in Ashes of Time degli Anni '90 e raggiunge grande bellezza commerciale alle soglie del 2000 con Zhang Yimou che, se da una parte ha il merito di aver fatto conoscere un genere popolare virtualmente sconosciuto in Occidente, ne ha però plasmato e limitato la percezione ad un elegante carosello di spadaccini, costumi ed evoluzioni aeree. Ma wuxia è anche e soprattutto tormento interiore, è il circolo desiderio-frustrazione-vendetta. Jia Zhang-ke in più occasioni ha ribadito che il suo Il tocco del peccato - A Touch of Sin è un wuxia moderno, è una grande rabbia e frustrazione che fa prendere le dolorose ed estreme decisioni che sconquassano le vite dei suoi personaggi.
Coerentemente con il suo realismo, Hou Hsiao-hsien ha spogliato The Assassin da virtuosismi marziali e spettacolarità e lo ha riportato a terra. La sua assassina, come un samurai (Hou Hsiao-hsien ha ammesso di amare di più i cappa e spada giapponesi), ha un rigido codice etico e morale ma soffre, sbaglia, è tormentata da difficili decisioni, piange a lungo (in una delle scene più toccanti, per me), paga per i suoi errori e si domanda quale fato l’abbia resa ciò che è.
La storia? La storia è il titolo. Un'assassina, Nie Yinniang (Shu Qi), e una vittima designata, Lord Tian Ji’an (Chang Chen). Poi, come nella vita reale, tante piccole sfaccettature, importanti da vicino ma sfocate da lontano, come viste attraverso quelle tende leggere di seta tra le cui spire si nasconde l’assassina.
Shu Qi e Chang Chen sono una coppia ben rodata che ha lavorato già con il regista. L’infanzia di Hou Hsiao-hsien, passata con la madre e la nonna, ne ha forgiato la passione per le donne forti e belle e soprattutto che abbiano un''aura' molto potente e Shu Qi, a buon merito, è la sua musa.

Fate un favore a questo splendido film: andatelo a vedere senza preconcetti e aspettative, pronti ad assorbire bellezza ed emozioni, pronti ad esplorare il ricco mondo dei legami e relazioni tra individui, famiglia, politica e ricordi, pronti a prendere ciò che porge con grazia. Aprite l’apribile, mente, cuore e occhi, e andate al cinema.


Il nostro giudizio: Il nostro giudizio è 4.5

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Adriana Rosati

Segnata a vita da cinemini di parrocchia e dosi massicce di popcorn, oggi come da bambina, quando si spengono le luci in sala mi preparo a viaggiare.

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