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On the Beach at Night Alone (Bamui haebyun-eoseo honja) - Recensione (Festival di Berlino 2017)

Diciannovesimo lungometraggio per il coreano Hong Sang-soo, che giunge alla Berlinale 2017 con quello stile e quella poetica che l'hanno reso uno dei migliori interpreti del cinema di oggi. Quest'ultimo film è la precisa conseguenza di un percorso sull'analisi dell'uomo e dei suoi sentimenti che può mettere in crisi la giuria nella gara per l'Orso d'Oro

Young-hee è un'attrice coreana che si trova ad Amburgo per cercare di prendersi una pausa da una relazione con un uomo sposato di cui ancora ne porta i segni. Vive la città, cammina per le sue strade e per la sua natura in compagnia di un'amica, anch'essa coreana, con cui si sfoga su di lei e sui suoi sentimenti. Un giorno alla spiaggia la ragazza in solitudine cammina sul bagnasciuga e qui è presa da un uomo e portata via. Seconda parte del film. Young-hee ora è in Corea, a casa sua, nella sua vita di tutti i giorni. Incontra alcuni vecchi amici nella città costiera di Gangneung. Insieme mangiano e bevono e con lo stimolo dell'alcool la ragazza scioglie i suoi pensieri che si tramutano in provocazioni, insulti, sfoghi e lacrime. In seguito Young-hee si ritira sulla spiaggia e qui la quiete è interrotta dalla troupe e dal regista del film in cui sta lavorando. Con quest'ultimo, a cena, cerca una soluzione al suo malessere. Nemmeno lui, nemmeno il supporto di un libro la possono aiutare, ma solo la natura e il mare.
Ci sono molti aspetti e spunti da tenere in considerazione per comprendere la nuova pellicola di Hong Sang-soo. Ogni secondo di girato ha una valenza, un significato, un riferimento a un universo da decifrare e da comprendere. C'è molto, eppure tutto sembra già visto. Sotto le note del Quintetto per archi in do maggiore di Schubert, il regista coreano, infatti, propone il suo cinema. Questo si compone stilisticamente sempre di una macchina da presa che si muove tra i personaggi con movimenti orizzontali; c'è lo zoom che dal particolare sposta l'attenzione dello spettatore al generale; c'è la sottrazione del montaggio; c'è una voce narrante che spiega pensieri e riflessioni della protagonista (e anche del regista). Poi ci sono i ristoranti, le bevute, le infinite chiacchierate, i dialoghi interminabili incorniciati in un'unica scena sempre suddivisa in due livelli di rappresentazione tra scena in primo piano e controscena sullo sfondo. Poi soprattutto in On the Beach at Night Alone c'è l'amore, c'è la vita, la loro compresenza e la ricerca dell'essere umano di qualche elemento, naturalistico o oggettivo come la letteratura, in grado di risolvere questo rapporto. In questo caso come in The Woman on the Beach sono la spiaggia e il mare gli elementi di supporto al dramma della protagonista e come in Right Now, Wrong Then ciò che è mostrato sullo schermo non ha mai solo un significato. Ogni azione, apparentemente indecifrabile, infatti, è perfettamente coerente con il senso del film.
La protagonista, intensamente interpretata da Kim Min-hee, quando improvvisamente si inginocchia a pregare mentre cammina in un bosco ad Amburgo, è alla ricerca di una spiritualità interiore che sente lontana. L'uomo che la porta via alla fine della prima parte rappresenta il suo desiderio di tornare a casa. Ancora l'uomo che pulisce i vetri nell'albergo in Corea, in cui Young-hee in compagnia di una coppia di amici trascorre una notte, è utilizzato per sdrammatizzare la tensione emotiva della pellicola. La violenza verbale della protagonista, inoltre, nella cena con il regista e la troupe del film è esasperazione e non certo follia o ubriachezza. Tutto ciò, dunque, è coerente nel climax ascendente di intimità cupa, di chiusura nei propri sentimenti manifestato sia nelle pellicola che più in generale nella cinematografia di Hong. La spiaggia gelida, fredda e secca dell'inverno sia tedesco che coreano, costruita dai due direttori della fotografia Kim Hyung-koo e Park Hong-yeol, rappresenta il luogo in cui ripararsi, in cui la protagonista (e forse anche il regista) può distendersi per cercare una propria serenità solitaria in una perenne distanza da tutto. Ecco dunque che la natura offre la serenità tanto cercata da Young-hee e il luogo di equilibrio tra solitudine e volontà di sfogarsi, tra chiusura e apertura verso l'esterno su cui il regista costruisce On the Beach at Night Alone.

La nuova pellicola di Hong Sang-soo dimostra, pertanto, la sua maturazione verso un cinema più crepuscolare e più lineare, al contrario ad esempio di quanto proposto in Right Now, Wrong Then, in cui la divisione tra prima e seconda parte, in quest'ultimo lavoro, non è altro che un segno di auto-generazione del film. Il sempre più crescente tormento avvertito dalla protagonista (che addirittura le impedisce una chiara comunicazione logica con chi la circonda), infatti, spezza la sua sensibilità, la annienta, come rappresentato dalla bellissima e delicata scena in cui Young-hee alla fine della prima parte del film cammina verso il mare. Il ritorno a casa è, infatti, una nuova e ipotetica strada di guarigione che si apre con la protagonista seduta in un cinema, intenta, forse, a guardare fino a che punto è giunto il suo tormento. E poi, quindi, ricominciare.




Il nostro giudizio: Il nostro giudizio è 3.5

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Davide Parpinel

Del cinema in ogni sua forma d'espressione, in ogni riferimento, in ogni suo modo e tempo, in ogni relazione che intesse con le altri arti e con l'uomo. Di questo vi parlo, a questo voglio avvicinarci per comprendere appieno l'enorme e ancora attuale potere di fascinazione della settima arte.

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