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Hotel by the River - Recensione

Opera per certi versi peculiare nella vasta cinematografia di Hong Sang-soo, Hotel by the River si impernia in maniera decisa sulla riflessione del regista sulla morte, dando seguito a quanto già affrontato nel precedente Grass

Nel 2018 il prolifico regista coreano Hong Sang-soo ha diretto due lavori, Grass, presentato al Festival di Berlino, e Hotel by the River, che ha visto la luce al Festival di Locarno, confermando la ormai assoluta e consolidata presenza del regista coreano nel circuito festivaliero che conta, grazie alla ragionata distribuzione dei suoi film nelle maggiori rassegne cinematografiche.
Come abbiamo spesso detto, i film di Hong proprio per questa consolidata caratteristica che porta il regista a presentare sempre almeno un paio di lavori all’anno, sono diventati quasi una tradizione, un appuntamento fisso atteso per il cinefilo. Questi due ultimi lavori, però, possiedono un paio di caratteristiche peculiari all’interno della visione cinematografica del regista: infatti l'utilizzo del bianco e nero, che comunque non è così raro nelle opere di Hong, rappresenta una scelta stilistica che sembra volersi sposare con quella che è la tematica dominante, difficilmente presente con tanto vigore nella cinematografia dell’autore, e cioè la morte.
In Grass il tema si affacciava prepotentemente e ripetutamente all’interno delle varie storie raccontate, in questo Hotel by the River è addirittura un presupposto narrativo del film stesso. Il racconto infatti si sviluppa intorno alla figura di un anziano poeta che, sentendo avvicinarsi la fine, senza però alcun dato obiettivo che lo confermi, convoca i suoi due figli presso l’albergo dove vive, immerso nella neve e affacciato sul grande fiume Han. Nello stesso albergo alloggiano due amiche, una delle quali appena abbandonata dall’uomo che amava, che si ritrovano per consolarsi a vicenda.
Due frammenti distaccati dunque, quasi allo stesso modo di quelli che venivano raccontati in Grass; qui il contatto tra i due universi, quello tutto femminile delle due amiche e quello tutto maschile del poeta e dei suoi due figli, entrano fugacemente in rapporto tra di loro proprio attraverso la figura del poeta, incantato dalla grazia e dalla bellezza delle due donne che gli ispirano idee poetiche. Le due amiche si raccontano i loro tormenti d’amore, la meschinità dell’uomo, la tristezza che le attanaglia, il poeta affronta i figli per tentare di ricomporre un rapporto famigliare che, si intuisce, ha inevitabilmente distrutto negli anni: due mondi distanti ma che per tutto il film vivono spalla a spalla come è efficacemente rappresentato nella scena del ristorante in cui si ritrovano in tavoli diversi i due gruppi.
Naturalmente se c’è il ristorante c’è anche l’inevitabile cliché delle bevute di soju e della caduta delle inibizioni, tradizione immancabile nella dinamica sociale -antropologica dei personaggi di Hong. E non basta, perché anche l'immancabile presenza del personaggio legato al mondo del cinema è assicurata da uno dei figli del poeta, un regista che non si capisce bene se più incompreso che cialtrone.
Nonostante buona parte del corredo delle situazioni abituali, Hotel by the River è lavoro che differisce molto dal cinema di Hong come lo conosciamo ormai da molti anni, proprio per la riflessione sulla morte, un tema che sembra destare più di una ossessione sul regista. Il modo in cui la tematica viene affrontata è piuttosto secco, privo di mediazioni, diretto e  trova nel finale il suo concretizzarsi, amplificato da un bianco e nero più convincente del solito, forte di una poetica minimalista che se da un lato possiamo considerare la firma dell’autore, dall’altro colpisce per la leggerezza e la semplicità con cui Hong si cala nella tematica.
Arte e rapporti umani, amore e disprezzo, sguardo sempre carico di sarcasmo e di umanità confluiscono in Hotel by the River nella riflessione sulla morte e sulla vita, dove gli affanni della famiglia e quelli della coppia si stagliano prepotenti sul bianco della neve portati dalle parole e dai piccoli gesti dei protagonisti di questo racconto bifronte che sembra voler abbracciare ogni spigolatura dell’animo umano.
La scelta del bianco e nero è indubbiamente suggestiva e, come raramente si vede, coerente con l’essenza del racconto, un bianco e nero ancora più coinvolgente dalla presenza quasi ubiquitaria della neve che azzera ogni sfondo e ogni messa in scena (emblematica e molto bella in tal senso la scena dell’incontro del vecchio poeta con le due giovani donne). Altrettanto efficace, pur nella loro semplicità tecnica, l’utilizzo dei primi piani e degli zoom, che saltano da un microcosmo all’altro, dal mondo femminile a quello maschile, mai così pesantemente separati come in questo lavoro.

Hotel by the River, proprio per le peculiarità di cui abbiamo parlato ed in relazione anche al precedente Grass con cui sembra essere quasi in simbiotico legame, sembra potersi imporre come una svolta nel cinema di Hong Sang-soo, forse in relazione a esperienze personali, tra le quali il rapporto con la compagna-attrice feticcio Kim Min-hee. Di certo l’ultima fatica del regista coreano è un film che sembra avere qualcosa in più di quell’interesse cinefilo che l’appuntamento annuale con i film di Hong genera: forse il girovagare narrativo è giunto al suo capitolo più pregnante, quello sulla morte, epilogo delle numerose riflessioni sulla debolezza dell’animo umano e sulla difficoltà a rapportarsi.
Ki Joo-bong, nei panni dell’anziano poeta, ha ricevuto meritatamente a Locarno il premio per la migliore interpretazione maschile che omaggia una prova carica di umanità. Kim Min-hee riesce a essere sempre il centro di gravità di ogni lavoro di Hong e Kwon Hae-hyo conferma di essere uno tra gli attori che meglio si adattano ai personaggi creati dal regista.




Il nostro giudizio: Il nostro giudizio è 3.5

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Massimo Volpe

"Ma tu sei un critico cinematografico?" "No, io metto solo nero su bianco i miei sproloqui cinematografici, per non dimenticarli".

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