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Destruction Babies - Recensione

Proveniente dal Festival di Locarno 2016, Destruction Babies di Tetsuya Mariko è una nichilistica e pessimistica lettura della deriva autodistruttiva della gioventù nipponica

Il nichilistico racconto di Tetsuya Mariko sulla deriva giovanile della provincia giapponese, opera proveniente dall’ultimo Festival di Locarno, è uno tra i più interessanti lavori giapponesi di questi ultimi mesi, soprattutto per la scelta della prospettiva utilizzata per condurre avanti la storia dei due fratelli Taira e Shota.
I due ragazzi vivono da soli, padre morto giovane e madre sparita, in una piccola località di mare della provincia giapponese: Taira, il maggiore, è un piantagrane cronico, mentre Shota frequenta ancora la scuola. Ad occuparsi dei due un uomo che li ha accolti dopo che erano rimasti soli e che ha offerto loro ospitalità. Dopo l’ennesima rissa in cui viene coinvolto, Taira decide di lasciare il villaggio e di andare a cercare rogna nella vicina città di Matsuyama, dove inizia a vivere come un homeless tra una rissa e un’altra, scatenate spesso senza alcun motivo anche con gangster di provincia da quattro soldi. Il suo comportamento asociale e violento trova un ammiratore e seguace in Yuya, un bulletto pavido e chiacchierone che rimane folgorato dalla violenza e dalla rabbia che Taira sprigiona. I due iniziano quindi un pericoloso e drammatico viaggio nella notte che si trasforma in un crescendo di violenza e di degrado, proprio mentre il fratello minore Shota raggiunge la città alla ricerca della fratello.
L’assurda prima mezz’ora del film, costellata dalle scazzottate in strada con volti sanguinanti e tumefatti, nasi rotti e botte da orbi causate dalla furia del protagonista, servono a sottolineare il vuoto esistenziale nel quale si muove Taira. Quando poi si forma la coppia di violenti in cerca di eccitazione in una escalation che non sembra avere mai fine, Destruction Babies diventa un lucido e nichilistico ritratto di una generazione che sprofonda sempre più nella sua vacua disperazione.
La notte folle di Taira e Yuya è una corsa senza freni verso un baratro dove regna il buio pesto delle coscienze e delle esistenze, raccontata con fredda descrizione e con un pessimismo che trova la sua conclusione in un epilogo quasi surreale nel villaggio dove i due fratelli sono cresciuti. La progressiva discesa nella violenza del protagonista e del suo compare, ma alla fine anche di Shota, va di pari passo con la consapevolezza della nullità delle loro vite, cariche solo di odio e di autodistruzione: una bomba di ipercinesi che esplode in continuazione autoalimentandosi di botte e violenza gratuita.
Il lavoro di Tetsuya Mariko, così nettamente dicotomizzato tra una prima parte che sfiora il surreale ed una seconda buia e pessimistica, presenta alcune caratteristiche narrative che ne accentuano la sua originalità: anzitutto la mancanza di qualsiasi accenno all’eroismo giovanile violento, i protagonisti sono dei falliti sin dall’inizio e come tali si comportano, mettendo in luce tutta la loro asocialità; in secondo luogo le molteplici risse vengono descritte con grande realismo che non lascia alcuno spazio alla ricerca coreografica: corpi barcollanti sotto i colpi, mani fracassate, volti pesti, goffe pose da boxeur, autentiche scene da risse da strada come potremmo vedere in ogni città del mondo.
Il tema della deriva autodistruttiva delle generazioni giovanili di fronte all'apatia della società e alle responsabilità della famiglia è l’asse portante del lavoro di Tetsuya Mariko: lo sguardo impregnato di pessimismo del regista accentua ancora di più il senso di deriva generazionale, raccontato privandolo totalmente del surrealismo di Sion Sono o della follia anarchica di Takashi Miike.

Tetsuya Mariko opta per il racconto che guarda più al neorealismo che al dramma generazionale osservato con l’occhio molto personale di altri autori giapponesi.
Nel ruolo di Taira abbiamo modo di osservare l’ormai ventiseienne Yuya Yagira, che folgorò tutti nel 2004 in Nessuno lo sa - Nobody Knows di Hirokazu Kore-eda: una prova non facile ben superata quella di interpretare un personaggio che lascia trasparire solo la glaciale violenza che lo anima. Masaki Suda e Nana Komatsu nei ruoli rispettivamente di Yuya e di Nana, una giovane coinvolta suo malgrado nella scorribanda notturna della coppia, completano un cast di buon livello.




Il nostro giudizio: Il nostro giudizio è 3.5

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Massimo Volpe

"Ma tu sei un critico cinematografico?" "No, io metto solo nero su bianco i miei sproloqui cinematografici, per non dimenticarli".

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