Extra festival ed eventi: speciali, interviste e approfondimenti

Ti trovi qui:HomeFestival ed eventiExtra festivalVenezia 81: giorno 3. Cronache di cinema e molto altro

Venezia 81: giorno 3. Cronache di cinema e molto altro

Un resoconto fatto di news, rumors, eventi, volti, chiacchiere, battute, dichiarazioni e ovviamente cinema per spiegarvi bene cosa significa vivere ogni giorno la 81a Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica. Oggi parliamo di cosa è successo nei giorni precedenti, di due film (uno pessimo e uno apprezzabile) e di alcune altre cose

Non vi preoccupate, non vi siete persi nulla, né tantomeno la redazione di LinkinMovies.it ha commesso qualche errore o si è persa qualche articolo. Questo diario, o resoconto, o approfondimento (a voi la scelta del nome) dalla 81a Mostra del Cinema 2024 inizia su queste colonne esattamente dal giorno 3. Il motivo è davvero semplice, ossia che chi scrive è arrivato solo oggi al Lido a causa di altri impegni, di problematiche di vita, di scelte (anche qui a voi la libertà di individuare la definizione migliore). Sono tornato, in realtà, più che arrivato. Perché ormai sono 19 anni che seguo questa manifestazione, 17 come giornalista di LinkinMovies.it e quindi ogni anno è un ritorno quasi a casa, più che un nuovo arrivo. Vi evito tutto il melodramma interiore che mi pervade in merito alla gioia e alla voglia di partecipare alla Mostra, per iniziare subito questo resoconto, scritto sempre con i soliti presupposti e suddiviso nelle solite rubriche, partendo ovviamente da ciò che è stato.

Nei giorni precedenti. Per il capitolo cinema, pare che ho perso la visione di un gran bel film del concorso, Maria di Pablo Larraín. E sono molto dispiaciuto! Se volete capire quanto sono legato, e allargo il sentimento a tutta la redazione, al regista cileno ascoltate la puntata del nostro podcast, La Luce del Cinema, che gli ho dedicato (cliccate qui). Capirete quindi, che leggere di buone recensioni e aver ricevuto ottimi pareri anche dai colleghi, mi rammarica non poco per non aver potuto gustare di questa visione in sala alla Mostra, per quanto sono molto contento che Larraín abbia confermato il suo talento. In breve, Maria non racconta l’intera vita della cantante greca, Maria Callas, bensì il regista cileno ha adottato il punto di vista già utilizzato in Jackie e Spencer (i primi due capitoli di una ideale trilogia, di cui appunto Maria ne è il terzo atto) ossia narrare un frammento della sua esistenza, gli ultimi giorni della sua vita a Parigi negli anni Settanta. Attraverso questo canale di osservazione, Larraín ha allargato l’obiettivo ed è riuscito a ritrarre tutta l’esistenza, tumultuosa, tragica e bellissima della cantante lirica. Angelina Jolie veste i panni della grande Callas. È arrivata al Lido con quell’aura di sospensione dal tempo, di vestale ascetica che la caratterizza da qualche anno e in conferenza stampa ha affermato che il processo di avvicinamento a questo film è stato lungo, circa sette mesi in cui il regista l’ha consigliata e seguita. Poi ha aggiunto parole di encomio nei confronti della lirica, definita la forma migliore per creare l’amore e il dolore. Il regista, dal canto suo, ha espresso il suo amore nei confronti di Callas, dicendo che è sin da piccolo un suo fan e che si è stupito del fatto che il cinema, finora, non abbia mai approfondito il suo profilo. L’obiettivo di Maria è ritrarre la storia di una donna, celebrando il suo lavoro e la sua musica. Insomma, il fato che mi ha allontanato da questo film, non mi ha voluto affatto bene! 

Comunque, mercoledì è stato presentato il film di apertura della Mostra del Cinema Beetlejuice Beetlejuice di Tim Burton, che ha abbastanza convinto la platea di critici e pubblico. Una fiaba gotica in puro stile-Burton che può essere anche letta come un’allegoria dei tempi moderni. Ha aperto il concorso di Orizzonti, invece, Nonostante di Valerio Mastandrea, una riflessione su dove andiamo, con chi parliamo, in che modo esistiamo quando ci troviamo nell’incoscienza. E che funzione assolve l’amore? Un Mastandrea intimo e personale nella sua seconda opera da regista. A chiudere questa parentesi sui giorni passati di Venezia 81 vi segnalo El Jockey dell’argentino Luis Ortega, l’altro film in concorso dopo Maria. Da quanto ho compreso, leggendo le opinioni e ascoltando i pareri dei colleghi, il film appare discreto. Ha una prima parte molto convincente per l’immaginario espresso, e una seconda più ambiziosa, forse ruffiana che giunge a un finale un po’ posticcio. La pellicola narra di Remo Manfredini, un fantino leggendario, che tiene un comportamento autodistruttivo, tanto da adombrare il suo talento e mettere a repentaglio la relazione con Abril, la fidanzata. Il giorno della gara più importante della sua carriera, che lo può liberare dai debiti col suo boss mafioso Sirena, ha un grave incidente, scompare dall’ospedale e vaga per le strade di Buenos Aires. Libero dalla propria identità, inizia a scoprire il suo vero io, seppur Sirena lo cerchi disperatamente. 

E il cinema? Eccolo! Ora tocca a me! Tra i film visti oggi, terzo giorno della Mostra del Cinema, vi parlo di Babygirl di Halina Reijn (Venezia 81 - Concorso) e Quiet Life di Alexandros Avranas (Orizzonti). Seguo l’ordine di visione e comincio con Babygirl. Il film sale sul podio dei più brutti film visti alla Mostra del Cinema nella mia esperienza. Forse non al primo posto, ma lo insidia parecchio (tra l’altro non ricordo nemmeno quale sia il peggiore, forse la mia mente mi vuole proteggere dal pessimo cinema). Il film di Reijn si merita questa posizione perché è parecchio sconclusionato e senza un filo logico. Gli manca proprio un’idea, uno spunto, un motivo per girare questa pellicola. Nicole Kidman (buonanima ormai!) interpreta una donna in affari che ha raggiunto una posizione apicale nella sua azienda. Romy, questo il suo nome, è, quindi, una donna di potere, ma anche vulnerabile e fragile, perché, a causa dell’insoddisfazione sessuale famigliare (mia ipotesi perché il film non lo spiega) intesse una relazione con un giovane stagista intrisa di perversioni, dominazioni, balli seducenti, spogliarelli e sudore soprattutto nella scena in cui i due amanti si incontrano in una discoteca/rave. Non aiuta nella definizione dello scopo del film l’interpretazione di Kidman, bloccata in una sola espressione (e conoscendo il suo valore attoriale non credo per volere suo), un misto di attonito, sconvolto e sorpreso. Dall’altro lato c’è Samuel, interpretato da Harris Dickinson, che la domina, le dice cosa fare e anche che non vuole una storia con lei perché lei è una madre, e non c’è nessun riferimento affettuoso nella frase. Poi fa a botte con Antonio Banderas, Jacob, marito di Romy e lo aiuta anche a superare una crisi di panico, seguita alla virile colluttazione. Il risultato di Babygirl è un film che fa ridere la platea nei momenti drammatici; che propone diverse canzoni ogni cinque minuti di girato con musicalità anni Ottanta e/o super ritmate; che fondamentalmente non racconta nulla, non indaga la psiche dei suoi personaggi, non motiva le sue scelte narrative. Si apre e si chiude con un orgasmo di Romy e in mezzo Jacob legge la Bibbia per risollevarsi dal tradimento subito. Il finale poi fa davvero arrabbiare perché la regista prende per i capelli la questione di genere per cercare di dare un minimo di senso alla sua storia, finendo però per essere pretestuosa. Delirio puro! Bella scelta mettere questo film in concorso. Complimenti al direttore Barbera e al suo comitato di selezione. Forse, dietro questa scelta c’è la voglia di accontentare la casa di produzione A24, produttrice di Babygirl, che acquisisce di film in film sempre più potere.

L’altro film che vi segnalo di questa giornata lidense è Quiet Place del caro Avranas, un regista che forse ha subito un po’ troppo il successo di Yorgos Lànthimos, appartenenti entrambi alla stessa generazione di registi greci, e non ha, così, trovato il giusto momento per imporsi. Dopo la disturbante violenza di Miss Violence che penetrò nelle nostre menti alla Mostra del Cinema 2013, questa nuova opera di Avranas è un film onesto, sincero e con un buon presupposto. La storia è ambientata in Svezia nel 2018 e coinvolge una famiglia di origine russa (Natalia, Sergei e Katja e Alina) e la loro richiesta di asilo in Svezia. L’apparato statale che si occupa di gestire la domanda non è molto tenero con loro e non crede alla motivazione di persecuzione e violenza, avanzata dalla famiglia. Nella disperata ricerca del modo di poter restare, la vicenda si complica alquanto e la figlia più piccola, Katja, cade in coma perché afflitta dalla sindrome della rassegnazione, una patologia abbastanza diffusa in Svezia causata dal trauma della migrazione che provoca una riduzione dello stato di coscienza, più o meno duratura, in bambini e ragazzi. La disperazione dei genitori è tanta, ma è anche più forte la necessità di non essere espulsi, quindi il padre convince Alina, l’altra figlia, a raccontare una storia inventata sugli eventi che hanno portato la famiglia alla fuga in Svezia. L’obiettivo è cercare di convincere la commissione che giudica le richieste di asilo. Il risultato ottenuto, però, non è quello sperato dalla famiglia e anche la ragazzina cade in coma, afflitta dalla stessa sindrome. A Natalia e Sergei non resta che unirsi, di stringersi tra loro, forse l’unico modo per cercare un po’ di serenità. Avranas nel racconto di questo dramma sociale è essenziale, muove pochissimo la macchina da presa, e anche claustrofobico, perché gli ambienti sono grigi e soprattutto ristretti, come forse le menti di qualcuno. Non c’è disperazione, non c’è ansia, ma la sola gelida e razionale diagnosi degli eventi che scaturiscono le varie azioni della famiglia russa. Bel lavoro per il regista greco che in alcuni momenti prende lo stomaco dello spettatore a pugni per il dolore trasmesso dalle immagini di Quiet Life

Altro ancora (più brevemente)

  • Al Lido fa un caldo ben oltre la sopportazione e dentro le sale c’è un gelo che congela anche i pensieri. Nonostante ciò l’atmosfera è vivace. C’è un bel po’ di gente che gira, le sale sono abbastanza piene, e gli accreditati si muovono freneticamente tra una sala e l’altra condannati dal calendario di proiezioni da suicidio. E poi ci sono gli stoici ragazzi che si accampano sul parapetto che li divide dal red carpet con più di 35° in attesa di foto, selfie vari e autografi con i loro divi preferiti. Oggi quando li ho visti, ho stimato e apprezzato la loro tenacia. 
  • Nei prossimi giorni il mio calendario di visione è un po’ magrolino a causa di quel folle e insensato sistema di prenotazione dei posti. Non voglio ammorbarvi con le polemiche, però ciò che Vivaticket e La Biennale hanno pensato come miglioramenti, rispetto agli altri anni, nell’atto della ricerca dei posti (la prenotazione riservata agli accrediti Press e Industry; la non selezione dei posti per i film in alcune sale) hanno reso il caos un super caos. Comunque non temete, di qualche film riuscirò a parlarvi. 
  • Prima ho dimenticato di dirvi che in questi primi giorni la Mostra ha consegnato il primo Leone d’Oro alla Carriera a Sigourney Weaver. Lei emozionatissima alla consegna del premio (potete recuperare la cerimonia su RaiPlay) ha tenuto anche una masterclass molto seguita in un nuovo spazio, la Match Point Arena posta di fronte all’Hotel Excelsior contenente 250 posti. Insieme a Weaver c’era anche il presidente Buttafuoco che ha ammaliato il pubblico con le sue rotonde parole. 

Per oggi è tutto. Domani, quarto giorno, spero in qualche bel film e in meno caldo!

Crediti fotografici:

Foto 1: Pablo Larraín, photocall di Maria, Giorgio Zucchiatti, La Biennale di Venezia - Foto ASAC (2)

Foto 2: Angelina Jolie, Pablo Larrain (1)

Foto 3: Valerio Mastandrea, Matteo Graia (2)

Foto 4: Nicole Kidman e Nicholas Hoult, Niko Taversine 

Foto 5: Quiet Life, official still, Lea Films di Worso

Foto 6: Antonio Banderas, photocall di Babygirl, Giorgio Zucchiatti, La Biennale di Venezia - Foto ASAC


 
Davide Parpinel

Del cinema in ogni sua forma d'espressione, in ogni riferimento, in ogni suo modo e tempo, in ogni relazione che intesse con le altri arti e con l'uomo. Di questo vi parlo, a questo voglio avvicinarci per comprendere appieno l'enorme e ancora attuale potere di fascinazione della settima arte.

Lascia un commento

Assicurati di inserire (*) le informazioni necessarie ove indicato.
Codice HTML non è permesso.

Questo sito utilizza cookie per il suo funzionamento. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie. Se vuoi avere maggiori informazioni, leggi la Cookies policy.