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La mafia non è più quella di una volta - Recensione (Venezia 76 - Concorso)

In concorso alla 76esima Mostra del Cinema di Venezia e insignito del Premio Speciale della Giuria, arriva nelle sale una nuova storia siciliana diretta dal suo narratore più cinico e drammatico: Franco Maresco. Tra assurdo, grottesco e tragico il cantore siciliano consolida la sua poetica mostrando l'azzeramento culturale e intellettuale insito in alcuni aspetti di Palermo. Le certezze sono: la mafia non esiste e non se ne può parlare; l'ottimismo di Letizia Battaglia e Ciccio Mira

È il 23 maggio 2017. Sono passati 25 anni dalla strage di Capaci in cui persero la vita Giovanni Falcone, sua moglie e gli uomini della loro scorta. A Palermo, in piazza si canta e si balla, ma soprattutto i partecipanti alla manifestazione urlano la loro voglia di legalità e il secco e deciso no alla mafia. A documentare la festa c'è Franco Maresco. Il 17 luglio dello stesso anno si commemora un'altra strage, avvenuta sempre 25 anni prima: quella di Via D'Amelio in cui perse la vita Paolo Borsellino. La scena si sposta al quartiere Zen e qui l'impresario di feste musicali Ciccio Mira, insieme al suo produttore, Matteo Mannino, organizzano una serata denominata: "I neomelodici per Falcone e Borsellino". Sul palco si alternano sedicenti cantanti e una schiera di volti e personaggi borderline. Il carrozzone va avanti fino a quando un uomo si avvicina a Mannino e gli intima di chiudere immediatamente la serata. A indagare l'accaduto c'è sempre ancora Maresco in compagnia di Letizia Battaglia.
Raccontato così il film La mafia non è più quella di una volta può avere le tinte di un film thriller in cui una pacifica situazione si trasforma in un disastro a causa di alcuni personaggi sinistri. Tale venatura, però, non è finzione, ma è realtà, è la vita di tutti i giorni ed è il punto di vista che Maresco utilizza per raccontare Palermo. Il regista si rimette la macchina da presa sulle spalle e prosegue la sua indagine antropologica dello status quo siciliano proponendo gli emarginati sociali, gli abitanti di un non-quartiere, lo Zen, popolato di fantasmi che si muovono al buio (culturale e mentale) che parlano una lingua di suoni e parole sfumate, capaci di negare e non riconoscere l'operato di Falcone, Borsellino contro la mafia. È una vita comune raccontata da Maresco con cinismo, causticamente e con un pizzico di crudeltà. Per questo il regista sceglie di parlare proprio con queste determinate persone, perché sa che tipo di riposte otterrà quando lui domanderà loro: "Cosa pensa di Falcone e Borsellino?" oppure come si comporteranno quando gli chiederà di dire: "No alla mafia". Questa carrellata di uomini e donne allontana definitivamente il documentario dal mistero al grottesco, al comico. Si ride amaramente, infatti, osservando la perdita della memoria degli abitanti dello Zen, la loro volontà di non vedere, di accettare una visione della realtà imposta da altri. In tutto ciò è insito l'obiettivo de La mafia non è più quella di una volta, ossia mostrare questa decadente umanità. A bilanciare, però, tale punto di analisi, il regista chiama Letizia Battaglia, un'ottimista di natura e una donna che di sangue freddo ne ha da vendere. La donna dibatte e discute con gli abitanti dello Zen sull'operato del sindaco di Palermo, Leoluca Orlando; parla con Maresco, che non si vede, ma si sente perché è sua la voce narrante, su come agire a riguardo della memoria sopita della città. In questo percorso nell'umanità siciliana, tra reale e irreale, arriva infine l'impresario musicale Ciccio Mira, già protagonista indiscusso di Belluscone, e l'atmosfera diviene ancora più assurda. Inquadrato sempre in bianco e nero come fosse una figura ancestrale, un archetipo di questo stato delle cose fuori dal comune, Mira appare un uomo nuovo rispetto al film precedente. Ora non accetta più il sopruso mafioso e organizza, infatti, una serata di canto neomelodico per Borsellino e Falcone con personaggi ai limiti del ricovero psichiatrico. L'impresario è sicuro del successo, tanto da rispondere con noncuranza alle intimidazioni ricevute da un sinistro uomo, a cui Mannino, invece, cede impaurito. Il tono di Maresco mentre racconta questa serata è trionfalistico, di un'impresa senza precedenti. Ciccio Mira è contro la mafia. Ma qual è la vera direzione dell'azione dell'impresario? Il regista fa capire che una traiettoria di pensiero nelle azioni e nella mente di Mira non esiste. Il regista lo sbeffeggia linguisticamente, non per prenderlo in giro, ma per portare in emersione quello che è, ossia un uomo che non conosce, che non sa, che non sa vedere. E mentre la macchina da presa si allontana con un movimento lento e mesto lasciando Mira solo nella sua 'battaglia', è definito dal regista un impresario delle pompe funebri.  

Franco Maresco con questa nuova pellicola si conferma il cantore, l'autorevole narratore della contemporaneità palermitana, la quale non trova differenze tra mafia e antimafia, perché comunque quella parola non si può pronunciare, e se incalzati da domande a riguardo si deve rispondere: "Non comment", come dice Mannino. Il cinismo del regista è diventando ancora più tagliente, rispetto ai lavori precedenti, e lo cela sapientemente nelle pieghe di una cruda comicità, utile a manifestare l'azzeramento culturale e sociale della Palermo di oggi. Nel perseguire tale obiettivo narrativo, il regista compatta la storia, la rende una spada e consolida la sua poetica: primi piani, campi lunghi sul degrado e la contrapposizione linguistica tra l'italiano (di Maresco) e una lingua siciliana ormai sempre più disgregata, perché troppe parole e concetti non si possono né dire, né pensare. Lo spettatore assiste a tutto questo e viene traslato in questa vita, per il forte spirito di realtà e di umanità. Per Maresco sembra non esistere più nessuna battaglia. Palermo è così, la Sicilia è così e sembra difficile non dargli torto.




Il nostro giudizio: Il nostro giudizio è 4

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Davide Parpinel

Del cinema in ogni sua forma d'espressione, in ogni riferimento, in ogni suo modo e tempo, in ogni relazione che intesse con le altri arti e con l'uomo. Di questo vi parlo, a questo voglio avvicinarci per comprendere appieno l'enorme e ancora attuale potere di fascinazione della settima arte.

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