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Il fondamentalista riluttante (Venezia 69 – Film di apertura) - Recensione

Mira Nair tenta di risalire la china dopo alcune prove non esaltanti, con un thriller politico che esplora il tema degli estremismi post-11 settembre. Ahinoi, nulla di nuovo sotto il sole. Film di apertura della 69esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia


Mira Nair torna alla Mostra del Cinema di Venezia, dopo aver vinto un Leone d'oro con Monsoon Wedding, nel 2001. È lei ad aver avuto l'onore d'inaugurare la 69esima edizione della rassegna lagunare, con l'anteprima mondiale di The Reluctant Fundamentalist (in italiano Il fondamentalista riluttante), produzione americana, inglese e qatariota che vanta un cast di tutto rispetto (Kate Hudson, Kiefer Sutherland, Liev Schreiber e il protagonista Riz Ahmed), tratto dall'omonimo best-seller di Hamid Mohsin.
Nutrivamo poche aspettative nei confronti del film: un po' perché le ultime prove della Nair non ci avevano convinto per nulla e un po' perché il tema del fondamentalismo islamico post-11 settembre, al centro del romanzo da cui la Nair trae spunto, era già stato ampiamente sviscerato da molte pellicole negli ultimi dieci anni. La prova della visione ha confermato solo in parte alcuni timori che avevamo alla vigilia.
La storia, come previsto, esplora le derive del malessere di una parte del mondo musulmano verso gli Stati Uniti. Un malessere che può trasformarsi in forme di antagonismo politico oppure in azioni di terrorismo. Il protagonista Changez, un ragazzo pachistano sospettato di far parte di una cellula terroristica che ha rapito un professore americano a Lahore, si trova tra questi due fuochi (solo alla fine scopriremo da che parte sta: dopotutto il film è una sorta di thriller politico). Attraverso un lungo flashback in cui il giovane racconta la sua vita a un giornalista che lo intervista, scopriamo chi era e chi è diventato: prima brillante studente di una delle migliori università statunitensi, poi importante dirigente di una multinazionale americana, fino a quando Bin Laden e soci non decidono di buttare giù le Torri Gemelle l'11 settembre 2011, giorno in cui la sua vita cambia radicalmente. Dal sogno americano all'incubo americano: Changez inizia ad avvertire su di sé tutto il risentimento che la società americana prova nei confronti di chi appartiene al mondo musulmano. Tornato in patria per sfuggire alle grinfie dell'intolleranza, diventa il guru di un gruppo di studenti che lottano per la fine dell'ingerenza americana nella politica del Pakistan. E qui ci fermiamo per non rovinarvi il colpo di scena finale sulla vera natura delle lotte di Changez...
Il film ci ha lasciato freddi: gli riconosciamo il merito di aver affrontato un tema delicato con uno sguardo neutro, capace di restituire sullo schermo tutta la problematicità dei rapporti tra Occidente e mondo arabo, ma abbiamo la sensazione che il lavoro della Nair non aggiunga nulla di quanto non avessimo già appreso dal cinema, dalla letteratura o dal giornalismo che si sono occupati della materia. Per essere più espliciti: apprezziamo la forma equilibrata, ma non la sostanza derivativa fuori tempo massimo.

Quello che ne esce fuori è dunque un compitino ben fatto, uno di quei film che fanno prendere coscienza dell'altro da sé, ma niente di più. Di cinema – cinema inteso come linguaggio in grado di reinterpretare la realtà dandole sullo schermo un valore aggiunto – non vi è traccia. Forse non è la scelta migliore per aprire una mostra internazionale che si definisce 'd'arte cinematografica', ma non è neanche fuori posto. Diciamo che evidenzia tutti i limiti di gran parte di certo cinema impegnato che circola oggi (dentro e fuori i festival): ovvero l'incapacità di rileggere il reale con uno sguardo vergine e incisivo.

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