Il clan - Recensione
- Scritto da Davide Parpinel
- Pubblicato in Film in sala
- Stampa
- Video
- Commenta per primo!

Argentina, inizio anni Ottanta, periodo finale della dittatura del Generale Videla. Alejandro Puccio è una giovane promessa del rugby. Gioca nella squadra locale e fa parte de Los Pumas, team nazionale. Quando non si allena, lavora nel negozio di attrezzatura per surf e windsurf della famiglia. Al piano superiore dello stabile collocato nel quartiere di San Isidro abita la sua famiglia governata dal padre Arquímedes e di cui fanno parte oltre la madre due sorelle e due fratelli più piccoli di Alejandro. Ciò che caratterizza la famiglia Puccio è un'altra attività molto remunerativa. Il patriarca Arquímedes, infatti, gestisce una squadra di rapimenti di giovani membri delle famiglie più ricche del paese in cambio di ingenti richieste di riscatto. In questa attività la famiglia è importantissima non solo perché copre i rapimenti, ma anche perché la casa ospita i sequestrati. In particolare il giovane rugbista è una pedina fondamentale nel meccanismo criminale, poiché indica alla banda del padre gli obiettivi. L'ingranaggio è destinato a incepparsi, tanto da portare alla carcerazione i membri della famiglia, fino a distruggerla definitivamente.
La famiglia Puccio rappresenta un caso nella storia dell'Argentina non solo per i crimini che commise, ma anche per ciò che avvenne durante il processo. Il vecchio Puccio, infatti, fu condannato all'ergastolo ma si dichiarò sempre innocente. Il figlio Alejandro dal canto suo sviluppò un odio profondo per il padre tanto da condurlo al suicidio più volte. Al regista argentino Pablo Trapero interessa proprio la parabola discendente della famiglia che narra nel film Il Clan. Arquímedes, interpretato da Guillermo Francella, tiene le redini dell'attività criminale e soprattutto dei suoi familiari che dirige con autorevolezza e decisione. Il figlio Alejandro, Peter Lanzani, è all'inizio succube delle decisioni paterne fino a quando, però, non riesce più a sottostare, spinto anche dal rimorso di quel sistema sociale che lui tradisce, fornendo i nomi di coloro da rapire al padre, e che, però, lo proteggerà anche dopo il processo. Il Clan mostra quindi un sistema, un ordine precostituito da cui nessuno può uscire. Arquímedes, però, non è severo, né autoritario: semplicemente con lo sguardo riesce a tenere la famiglia assoggettata alla sua funzione, anestetizzandola, assuefandola ai rapimenti. L'uomo seduce i figli, ne tiene a bada i pensieri e organizza la vita della moglie in funzione dei rapimenti. Per la famiglia Puccio, quindi, è normale agire in questa direzione, perché non sono solo un nucleo famigliare, ma soprattutto un regime militare.
Il tutto è narrato da Trapero con i tratti di un gangster movie veloce e incessante che non concede il tempo a chi osserva, come anche ai membri della famiglia, di riflettere su quanto sta accadendo. Lo spettatore è invaso dalle azioni e dalla capacità di macchinazione del vecchio padre. A supporto di tutto ciò contribuisce anche la musica ritmata, invasiva, cadenzata che il regista ha selezionato dal repertorio argentino e internazionale dell'epoca.
Se tutta la narrazione non fosse riferita a fatti realmente accaduti, Il Clan sarebbe un film irreale perché non è possibile raccontare questi crimini in un clima di finzione. Trapero prova a risolvere un quesito: come narrare in maniera convincente e originale una ferita ancora aperta del proprio Paese? La sua risposta è: raccontando intimamente ciò che è stato.
http://linkinmovies.it/cinema/in-sala/el-clan-recensione-venezia-72-in-concorso#sigProId7e7852084c
Video

Davide Parpinel
Del cinema in ogni sua forma d'espressione, in ogni riferimento, in ogni suo modo e tempo, in ogni relazione che intesse con le altri arti e con l'uomo. Di questo vi parlo, a questo voglio avvicinarci per comprendere appieno l'enorme e ancora attuale potere di fascinazione della settima arte.
Articoli correlati (da tag)
- Il clan - Trailer italiano ufficiale
- Il caso Spotlight - Recensione
- Intervista al regista Kohki Hasei e al produttore Flaminio Zadra per Blanka
- Gli uomini di questa città io non li conosco. Vita e teatro di Franco Scaldati - Recensione (Venezia 72 - Fuori concorso)
- The Return - Recensione (Venezia 72 - Settimana della Critica)