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The Return - Recensione (Venezia 72 - Settimana della Critica)

The Return, opera prima di Green Zeng, è il racconto in toni sommessi e minimalisti del ritorno alla vita di uomo, alla ricerca di quanto aveva lasciato alle sue spalle

Un uomo seduto alla sua scrivania, la penna stilografica in pugno, la comparsa di due uomini che con fermezza seppur con cortesia lo portano via, la porta dell’appartamento chiusa in una immagine che si prolunga per 15 secondi; un uomo invecchiato, piegato sotto il peso degli anni che torna a bussar a quella porta. In quei quindici secondi ci sono trenta anni di una vita passata in prigione con l’accusa di sovversione comunista.
Il vecchio Wen esce di galera e torna a casa dove c’è solo la figlia ormai adulta ad aspettarlo, la moglie è morta e il figlio maschio non vuole saperne nulla di lui. Rifiutando scorciatoie fatte di compromessi, l’uomo si è consumato quasi tutta la vita in galera, mentre il suo paese, Singapore, è cambiato al punto di non essere riconoscibile ai suoi occhi.
The Return è il racconto in toni sommessi e minimalisti di questo ritorno alla vita di un uomo che stenta a ritrovare attorno a sé quello che aveva lasciato: i legami famigliari, gli amici, la stessa città che ha cambiato faccia e che brilla freddamente nella sua stupefacente modernità che ha ricacciato indietro il passato. Wen vaga per la città cercando qualche appiglio che gli renda la città riconoscibile ancora come sua, cerca il conforto della famiglia e il calore degli affetti ma trova ostilità ed indifferenza o addirittura la proposta di seguire la figlia via dal Paese. Solo nell’incontro coi vecchi amici, quasi tutti passati per decenni nelle patrie galere, Wen riesce a ritrovare qualcosa del suo passato.
L’opera prima di Green Zeng, autore che finora si era cimentato in cortometraggi, ospitato nella rassegna della Settimana Internazionale della Critica nell'ambito della 72esima Mostra del Cinema di Venezia, è un lavoro che fa dello stile scarno, asciutto a volte iconografico la sua esilissima impalcatura, una scelta stilistica che, lavorando sottraendo, arriva al nocciolo e lascia trasparire un sincero sentimento.
Wen vaga spesso per Singapore, si ferma attonito a cercare un ponte che non esiste più, un monumento che non aveva mai visto, i nuovi edifici che si affacciano sul mare con uno sguardo triste e incredulo, quasi disperato che lascia trasparire il suo sentirsi disadattato tanto quanto la difficoltà nel ricucire i rapporti con i figli, uno dei quali lo accusa pesantemente della sua assenza durata tanti anni. A Wen rimane davanti solo una scelta: continuare a vivere come un fantasma in un luogo che non riconosce più o fuggire lontano: nella scena finale lo vediamo con la borsa in mano, affacciarsi ancora una volta sul mare e guardarlo sperando di riuscire a cogliere anche un solo piccolo angolo della sua vecchia città che possa fungere da ancora di salvezza.
Scegliendo la strada minimalista, Green Zeng dirige un lavoro scarno ed essenziale che però in troppi passaggi zoppica pericolosamente: se da un parte la scelta stilistica è ben funzionale con l’atmosfera, dall’altra troppo spesso si ha l’impressione di assistere ad una esacerbazione della cifra stilistica mediante immagini che sembrano stagliarsi come quadri pittorici. Di certo The Return è lavoro sentito, sincero che parte da premesse interessanti. Il suo svolgimento però non riesce sempre ad essere all’altezza delle premesse, soprattutto per la presenza di qualche ingenuità di regia.

Green Zeng è comunque regista che merita attenzione in attesa di vederlo all’opera nel suo prossimo lavoro, il secondo, che come sappiamo è quello che solitamente ci offre il giusto spessore artistico.


Il nostro giudizio: Il nostro giudizio è 2.5

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Massimo Volpe

"Ma tu sei un critico cinematografico?" "No, io metto solo nero su bianco i miei sproloqui cinematografici, per non dimenticarli".

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