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To the Wonder (Venezia 69 - In concorso) - Recensione

Due giovani si rincorrono tra gli alti e bassi di un amore che si consuma presto, mentre un prete cattolico deve affrontare una crisi di vocazione. Primo film di ambientazione contemporanea per Terrence Malick, che ritorna al cinema a un anno da The Tree of Life, con una nuova sinfonia per immagini sul sentimento dell'amore, destinata a dividere critica e pubblico. Noi l'abbiamo amata, senza se e senza ma


To the Wonder rappresenta una sorta di unicum all'interno della filmografia di Terrence Malick. Per tre ragioni: l'ambientazione contemporanea (fino ad ora i film del regista texano si svolgevano in un tempo passato), la gestazione molto breve (To the Wonder è stato realizzato in poco più di un anno di distanza da The Tree of Life: un record per un cineasta abituato a lavorare ai suoi film per non meno di 5-6 anni), l'economia di mezzi (che riporta il cinema malickiano lontano dall'epicità delle ultime pellicole). Tutti elementi che dimostrano una certa volontà di Malick di voler dare inizio a un nuovo corso a partire da questa sua ultima fatica, più essenziale, immediata, scarna e perciò più radicale delle altre prove , frutto di un pensiero emozionale unico e poco convenzionale. Prendere o lasciare. Noi 'prendiamo' e vi spieghiamo perché.
Il racconto si focalizza su tre figure che intrecciano i loro destini in una tranquilla cittadina dell'Oklahoma immersa nella natura. Neil e Marina (interpretati rispettivamente da un ombroso Ben Affleck e da una raggiante Olga Kurylenko), un americano e una francese di origini russe con un divorzio alle spalle e una figlia a carico, si rincorrono, si lasciano e si ritrovano tra gli alti e bassi di un amore totale, dapprima intenso ed esclusivo, poi insicuro e frustrante perché corroso dallo scorrere del tempo che sembra far scivolare via ineludibilmente ogni felicità e serenità. C'è poi padre Quintana (che ha il volto di Javier Bardem), un prete cattolico di origini ispaniche impegnato in opere caritatevoli, circondato da un degrado umano che lo porta a domandarsi se il suo amore per Dio sia veramente corrisposto e a mettere quindi in dubbio la sua esistenza.
Se conoscete il cinema di Malick, sapete che le dinamiche dei suoi personaggi sono ridotte al minimo. Il regista lascia a chi guarda il compito di riempire – secondo il proprio bagaglio di spettatore – i vuoti di senso disseminati lungo il film: ciò che gli interessa non è il prima o il dopo, ma l'emozione di un istante nel suo rivelarsi. L'azione è al grado zero e i rapporti di causa ed effetto non rispondono a una logica razionale. I personaggi vivono completamente in mondi interiori che vengono esplicitati attraverso interminabili voci narranti che si interrogano sulla percezione di se stessi, del tempo che gli è dato di vivere, della natura rigogliosa e impassibile attorno a loro e della presenza di Dio nella vita di tutti i giorni. Cinema, quindi, trascendentale, contemplativo, panteistico: un flusso inarrestabile e trascinante di parole che sembrano versi e di immagini di una bellezza che oseremmo definire quasi primigenia, la cui unione perfettamente armonica squarcia lo schermo di lampi poetici. Libero forse per la prima volta da qualsiasi pretesa di sondare i massimi sistemi (la vita, la morte, il tempo, punti cardine dell'opera malickiana), l'occhio del regista sembra etereo, totalmente rivolto allo spirito, libero di seguire il suo istinto, senza farsi alcuno scrupolo di sorta. Qualcuno potrebbe accusare il regista di onanismo: noi invece gli diamo atto di aver raggiunto una tale libertà creativa da riuscire a scrivere partiture visive che riempono lo sguardo e la mente di una umanità denudata nel suo più profondo essere.

Presentato in concorso alla 69esima Mostra del Cinema di Venezia, To the Wonder ha quindi il sapore di una commovente e ammirevole sinfonia per immagini, destinata però a dividere critica e pubblico. Interrogandosi senza alcun filtro sul significato del sentimento dell'amore (verso se stessi, verso gli altri e verso Dio), con il solito stile metafisico e filosofico di Malick, il film richiede uno sforzo non indifferente in termini di attenzione e sospensione dell'incredulità, ma sa ripagarvi con momenti di bellezza allo stato puro. Buon 'trip'!

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