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Dark Night - Recensione (Venezia 73 - Orizzonti)

Dark Night - Film - 2016 - Tim Sutton - RecensioneNé documentario, né finzione: Tim Sutton sceglie la terza via, quella di un cinema di pura osservazione all’insegna del gusto per la suggestione, per indagare il sostrato sociale americano dietro il terribile massacro di Aurora nel 2012, quando 12 persone furono uccise all’anteprima de Il cavaliere oscuro – Il ritorno. Un’operazione interessante, ma con molte lacune

Dark Night, notte oscura. Quella che tra il 19 e il 20 luglio 2012, nella cittadina di Aurora, si è portata via le vite di 12 persone uccise a colpi di arma da fuoco da un ventiquattrenne in un cinema che proiettava Il cavaliere oscuro – Il ritorno. Una notte oscura, perché sono ancora molti i punti di domanda senza risposta, come spesso succede in casi così estremi, su cosa spinga un ragazzo a compiere un gesto insano come quello di organizzare una carneficina. La dichiarazione d’intenti del nuovo lavoro di Tim Sutton è quindi già nel suo titolo: rievocare quella notte, anche senza mai citarla direttamente, interrogandosi sulle possibili origini di un male insensato, con un esplicito riferimento che possa aiutare il pubblico sin prima di entrare in sala a circoscrivere gli eventi (Dark Night, ovvero come The Dark Knight Rises, il titolo originale del secondo capitolo del Batman di Nolan durante il quale si verificò il massacro).
Sutton pone al centro della sua indagine sei profili esistenziali in contesti diversi: persone attraverso cui scopriamo un’America malata di deficit di rapporti personali, di rancore e di alienazione, i cui destini si incroceranno nel momento tragico della sparatoria. Ognuno di loro porta le stigmate di un culto della violenza, delle armi, del corpo come segni di vita in una società che nasconde un cuore di tenebra dietro il benessere artificiale delle villette a schiera tutte uguali e dei centri commerciali che si perdono a vista d’occhio. Come una sparatoria sia il risvolto del contesto sociale di una comunità, oltre che la conseguenza della facilità con cui gli individui riescono ad accedere alle armi, è l’assillo che muove la macchina da presa di Sutton. Il regista tenta una ricostruzione precedente al bagno di sangue: scruta e pedina i suoi personaggi con un certo distacco nel tentativo di distanziarsi da una qualsivoglia posizione morale: tutto è affidato ai mezzi di un cinema totalmente immersivo, che riempie i vuoti di una caratterizzazione scarna - per non dire inesistente - dei personaggi e dei loro intrecci con immagini evocative, pervase da una sottile inquietudine che va crescendo man mano che ci avviciniamo all’epilogo tragico.
Un’America votata all’autodistruzione quella che Sutton vuole portare a galla privandosi di qualsiasi narrazione (eccetto in un solo caso, quello di un ragazzo che viene interrogato dal regista sul suo rapporto con i videogame violenti e sul modo con cui li utilizza per stringere amicizie) e affidandosi esclusivamente alla suggestione visiva: come se l'autore volesse dirci che l’irrazionale dietro un massacro non può essere raccontato con parole e azioni (e difatti non è un caso che il film rinunci a mostrare la sparatoria finale), bensì solo rappresentato attraverso il potere immaginifico del linguaggio della macchina da presa di sviscerarne i sintomi.

Ed è nell’approccio di Sutton il maggior pregio e allo stesso tempo il maggior limite di un lavoro che era molto atteso alla Mostra del Cinema di Venezia 2016 (che ha ospitato la pellicola come evento speciale della sezione Orizzonti): sicuramente intenso sul piano visivo (forse fin troppo compiaciuto), Dark Night risulta un po' fine a se stesso e pretestuoso, non essendo completamente in grado con il suo apparato visivo di guardare in quel tunnel di desolante e misterioso vuoto esistenziale che alimenta l’ondata di sparatorie negli USA e di rivelarne la sua vera natura.


Il nostro giudizio: Il nostro giudizio è 2

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