Zack Snyder mette le ali
- Scritto da Francesco Siciliano
- Pubblicato in Extra
- Stampa
- Commenta per primo!
Incontro con il regista di 300, accompagnato dalla moglie, la produttrice Deborah, a Roma in occasione del lancio de Il regno di Ga’Hoole – La leggenda dei guardiani. Un fantasy animato per famiglie, tratto da una saga letteraria di Kathryn Lasky, con protagonisti guerrieri alati che si scontrano in una lotta tra il Bene ed il Male
Ha terrorizzato le platee di tutto il mondo con il remake romeriano L’alba dei morti viventi. Ci ha fatto toccare con mano la violenza selvaggia e brutale della Battaglia delle Termopili in 300. È riuscito a ribaltare l’immaginario edificante del cinema dei supereroi con la rilettura dell’universo dei fumetti di Watchmen. Zack Snyder, regista amato ed odiato in egual misura per il suo gusto estetizzante, kitsch e parossistico dell’azione, dopo essersi imposto all’attenzione generale con tre registri diversi (l’horror, il peplum, la fantascienza di derivazione fumettistica), cambia pelle e passa all’animazione. E lo fa con Il regno di Ga’Hoole – La leggenda dei guardiani, il suo primo film senza personaggi in carne ed ossa, un fantasy per famiglie tratto da una saga letteraria di Kathryn Lasky composta da quindici romanzi per bambini, in arrivo nelle sale il 29 ottobre in circa duecento copie distribuite dalla Warner Bros. Gli spettatori potranno vederlo sia in 3D che nel formato tradizionale.
Pur cambiando le coordinate del suo cinema, Snyder non rinuncia ad uno dei leit-motiv che contraddistinguono la sua poetica: la lotta tra il Bene e il Male. Questa volta l’attenzione del regista è rivolta ad un conflitto tutto interno al mondo animale: quello tra gruppi di guerrieri alati appartenenti a fazioni rivali, gufi buoni e cattivi che si scontrano per avere la meglio gli uni sugli altri. Da una parte i Guardiani di Ga’Hoole, d’altra i Puri: i primi difendono i deboli ed assicurano la pace, i secondi covano odio per i diversi e mirano al dominio assoluto. Le sorti della battaglia dipendono però da Soren, un gufetto all’apparenza innocuo ma dall’animo indomito. Catapultato suo malgrado in un’avventura più grande di lui che gli insegnerà i valori della vita, il piccolo rapace, grazie al suo coraggio, si rivela determinante per l’esito dello scontro.
“Per rendere reali i gufi, mi sono concentrato molto sui loro movimenti”, rivela Snyder nel corso di un incontro fulmineo con la stampa online che si è svolto tra le pareti dell’Hotel Hassler di Roma. “Un volatile si muove in maniera diversa rispetto ad un essere umano. I nostri personaggi però non sono veri e propri animali: parlano, interagiscono ed esprimono col corpo gioia o dolore come le persone. Ho cercato quindi di infondere nei gufi un mix di comportamenti umani ed animali. Non solo: ho anche voluto conferire caratteristiche più animali ai personaggi cattivi e più umane a quelli buoni per marcarne le differenze”.
Il destino ha voluto che il regista venisse coinvolto nella realizzazione de Il regno di Ga’Hoole quasi per caso. “Tutto è iniziato in un ufficio di un produttore della Warner”, racconta Deborah Snyder, moglie del regista, presente all’incontro con i giornalisti in qualità di produttrice del film. “Ricordo che io e Zack andammo a trovarlo e che entrambi notammo alle pareti alcuni dipinti che raffiguravano strani gufi. Ci incuriosimmo e chiedemmo cosa fossero. Il produttore ci spiegò che riguardavano lo sviluppo di un progetto tratto da una serie di libri di successo, nulla che, secondo lui, potesse interessarci. I disegni catturarono la nostra attenzione, così decidemmo di farci inviare la prima stesura della sceneggiatura insieme ai romanzi da cui era stata tratta. Dopo aver letto lo script ed i libri, ci rendemmo conto che l’adattamento aveva un grande potenziale. Inoltre ci venne il desiderio di realizzare qualcosa che potesse far felice i nostri figli. Alla fine prendemmo in mano il progetto, apportando alcune piccole modifiche, ma rimanendo sempre fedeli al materiale di partenza”.
Il passaggio all’animazione, e quindi ad un target di riferimento più familiare rispetto al passato, ha costretto Snyder a mettere un freno alle esplosioni di violenza tipiche del suo cinema. “Per la prima volta in un mio film – spiega il regista – la violenza non è sovversiva, bensì funzionale all’esplicazione della lotta tra buoni e cattivi. Quindi niente scene cruente, ma va bene così: mi sono divertito lo stesso!”.
Chissà se i fan di Snyder gradiranno il cambio di rotta. Intanto nel suo futuro c’è già la regia del reboot di Superman, un compito non da poco per cui erano in ballo registi come Darren Aronofsky, Tony Scott e Duncan Jones. “Non ho idea di come abbia ottenuto il lavoro. Forse i produttori si sono resi conto che avevo un interesse sincero nei confronti del personaggio ed uno stile adatto a raccontare il suo mondo senza mancare di rispetto alla tradizione del personaggio”.
Pur cambiando le coordinate del suo cinema, Snyder non rinuncia ad uno dei leit-motiv che contraddistinguono la sua poetica: la lotta tra il Bene e il Male. Questa volta l’attenzione del regista è rivolta ad un conflitto tutto interno al mondo animale: quello tra gruppi di guerrieri alati appartenenti a fazioni rivali, gufi buoni e cattivi che si scontrano per avere la meglio gli uni sugli altri. Da una parte i Guardiani di Ga’Hoole, d’altra i Puri: i primi difendono i deboli ed assicurano la pace, i secondi covano odio per i diversi e mirano al dominio assoluto. Le sorti della battaglia dipendono però da Soren, un gufetto all’apparenza innocuo ma dall’animo indomito. Catapultato suo malgrado in un’avventura più grande di lui che gli insegnerà i valori della vita, il piccolo rapace, grazie al suo coraggio, si rivela determinante per l’esito dello scontro.
“Per rendere reali i gufi, mi sono concentrato molto sui loro movimenti”, rivela Snyder nel corso di un incontro fulmineo con la stampa online che si è svolto tra le pareti dell’Hotel Hassler di Roma. “Un volatile si muove in maniera diversa rispetto ad un essere umano. I nostri personaggi però non sono veri e propri animali: parlano, interagiscono ed esprimono col corpo gioia o dolore come le persone. Ho cercato quindi di infondere nei gufi un mix di comportamenti umani ed animali. Non solo: ho anche voluto conferire caratteristiche più animali ai personaggi cattivi e più umane a quelli buoni per marcarne le differenze”.
Il destino ha voluto che il regista venisse coinvolto nella realizzazione de Il regno di Ga’Hoole quasi per caso. “Tutto è iniziato in un ufficio di un produttore della Warner”, racconta Deborah Snyder, moglie del regista, presente all’incontro con i giornalisti in qualità di produttrice del film. “Ricordo che io e Zack andammo a trovarlo e che entrambi notammo alle pareti alcuni dipinti che raffiguravano strani gufi. Ci incuriosimmo e chiedemmo cosa fossero. Il produttore ci spiegò che riguardavano lo sviluppo di un progetto tratto da una serie di libri di successo, nulla che, secondo lui, potesse interessarci. I disegni catturarono la nostra attenzione, così decidemmo di farci inviare la prima stesura della sceneggiatura insieme ai romanzi da cui era stata tratta. Dopo aver letto lo script ed i libri, ci rendemmo conto che l’adattamento aveva un grande potenziale. Inoltre ci venne il desiderio di realizzare qualcosa che potesse far felice i nostri figli. Alla fine prendemmo in mano il progetto, apportando alcune piccole modifiche, ma rimanendo sempre fedeli al materiale di partenza”.
Il passaggio all’animazione, e quindi ad un target di riferimento più familiare rispetto al passato, ha costretto Snyder a mettere un freno alle esplosioni di violenza tipiche del suo cinema. “Per la prima volta in un mio film – spiega il regista – la violenza non è sovversiva, bensì funzionale all’esplicazione della lotta tra buoni e cattivi. Quindi niente scene cruente, ma va bene così: mi sono divertito lo stesso!”.
Chissà se i fan di Snyder gradiranno il cambio di rotta. Intanto nel suo futuro c’è già la regia del reboot di Superman, un compito non da poco per cui erano in ballo registi come Darren Aronofsky, Tony Scott e Duncan Jones. “Non ho idea di come abbia ottenuto il lavoro. Forse i produttori si sono resi conto che avevo un interesse sincero nei confronti del personaggio ed uno stile adatto a raccontare il suo mondo senza mancare di rispetto alla tradizione del personaggio”.