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Intervista con video a Fruit Chan

Al termine della sua esperienza come giurato del concorso di Orizzonti a Venezia 72 abbiamo rivolto qualche domanda al regista di Hong Kong per parlare del suo cinema, della sua maniera di lavorare e di quali sono le problematiche per realizzare un film oggi nella sua città

Giunto al termine della sua esperienza di giurato alla Mostra del Cinema di Venezia 2015Fruit Chan si presenta alle nostre domande con un vivo desiderio di dialogare e confrontarsi. Emerge una figura artistica che sembra essersi ormai arresa a una maniera di fare film che poco gli appartiene. Il cinema di Hong Kong non esiste più e la possibilità di fare film commerciali soddisfa sia le richieste della Cina che quelle del mercato. Il regista ci anticipa quale sarà il suo prossimo film e al termine della nostra chiacchierata ci svela il film che l'ha più colpito tra quelli di Orizzonti, 'profetizzandone', a poche ore dalla premiazione, la vittoria finale.

Lei si è distinto tra gli esponenti della new wave hongkonghese per lo stile realistico e per le storie a sfondo sociale del suo cinema, in particolare se posto in riferimento ai registi della prima ondata come Johnnie To o Tsui Hark. Nei primi film lei narrava l'handover, il passaggio di Hong Kong da colonia britannica alla Cina, per poi raccontarne gli effetti. Abbiamo notato che nessun regista è stato in grado di raccogliere una tale eredità. Ciò da cosa è dipeso? C'è ancora spazio ad Hong Kong per un tipo di cinema come il suo?
I registi che hanno voluto raccogliere la mia eredità artistica, sono davvero molto pochi e per la maggior parte legati al circuito indie. Hanno quindi poco peso artistico e sono poco conosciuti. Ciò è dipeso soprattutto da un problema politico in quanto negli ultimi anni il cinema hongkonghese si è molto rimpicciolito rispetto al passato, è stato infatti assorbito dal mercato cinese, dove circolano molti soldi e si possono fare più produzioni. Per questo motivo molti registi di Hong Kong sono andati a realizzare i loro film in Cina. L'altro motivo è il fiorire negli ultimi tempi di nuove realtà produttive come quella malese o quella thailandese che hanno ancor di più ristretto la possibilità di fare film nell'ex protettorato britannico. In più c'è una motivazione legata al mercato in quanto chi rimane a fare film ad Hong Kong lavora con budget molto piccolo con cui è davvero difficile fare qualcosa. È anche vero, dall'altro alto, che se si accettano le coproduzioni con la Cina si è soggetti a molte restrizioni che non piacciono nemmeno al pubblico della città. Non vengono bene i film con la doppia produzione. 

Ricollegandoci a quest'ultima affermazione, il legame con il mercato cinese ha portato più svantaggi o vantaggi nelle produzioni di Hong Kong, considerando anche che, se non abbiamo letto male, il suo ultimo film Midnight After è stato prodotto in piccola parte con capitali cinesi?
The Midnight After in realtà non ha avuto una produzione cinese perché ha troppi riferimenti, spunti, immagini che alla censura cinese non sarebbero andati bene e per questo non è mai stato proposto in Cina. Più in generale nel caso in cui la coproduzione sia con la Cina la sceneggiatura viene revisionata, ci sono blocchi e il lavoro è posto al centro di molte incognite e questioni. Per questo i cinesi preferiscono i film commerciali: perché non si affrontano temi politici e sensibili.

Qualche tempo fa Johnnie To in un'intervista ci ha rivelato che la presenza delle produzioni cinesi nelle pellicole di registi hongkonghesi ha portato troppa meccanicità della creazione del film, soprattutto per la perdita di creatività e di ispirazione nel processo di sviluppo. Secondo lei è un problema comune nel fare cinema oggi ad Hong Kong?
Le restrizioni impongono due soluzioni: o si accettano le limitazioni imposte a partire dal momento della scrittura della sceneggiatura e quindi la realizzazione del film si snatura per adattarsi ai canoni del mercato cinese, oppure si cerca di fare in modo che la propria creatività rimanga intatta. Nell'ultimo caso, però, si è consapevoli del fatto che il mercato cinese chiuderà le sue porte. C'è quindi una certa restrizione alla creatività, è vero, però rimane una scelta propria, del resto i soldi per fare film da soli ad Hong Kong non ci sono più.

I suoi film hanno fatto la storia del cinema hongkonghese degli anni Novanta. C'è stato un momento dopo Dumplings (2004) in cui lei è scomparso dal grande schermo per quasi 10 anni, per poi tornare nel 2014 con un nuovo lungometraggio tutto suo, ovvero The Midnight After. Che cosa è successo in questo lasso di tempo in cui non è riuscito a girare un nuovo lungometraggio? Crisi di ispirazione oppure il modello di produzione era così cambiato da non permetterle di realizzare nuovi lavori?
Mi sono fermato per capire cosa c'era attorno, in che modo si stava evolvendo il mondo. E' vero anche che in questi anni ho prodotto alcuni film di carattere commerciale, ma effettivamente non ho più girato un lungometraggio. Il problema alla base di questa scelta, comunque, è quasi ancestrale: produrre film per il largo pubblico oppure creare pellicole più di nicchia che si fermano ad Hong Kong in cui il mercato è davvero piccolo?

Lei può essere definito come uno dei registi più autenticamente hongkonghesi al pari di Herman Yau e Dante Lam. E' corretta questa definizione ed esiste ancora un'identità cantonese nel cinema di Hong Kong?
Registi autenticamente honkgonghesi sono sempre meno e lavorano con budget risicati. Mi considero un membro, anche se ormai è davvero difficile rappresentare il cinema cantonese nella sua purezza territoriale. I registi che iniziano adesso a lavorare ad Hong Kong non possono dirsi realmente cantonesi perché lavorano con finanziamenti cinesi. Il mio prossimo film, ad esempio, è un poliziesco coprodotto con la Cina che prevede immagini con la polizia. Inserire la polizia non è possibile in un film esclusivamente prodotto in Cina, ma se girato ad Hong Kong è concesso. Il punto è che ho dovuto utilizzare attori cinesi inseriti nel contesto della città e quindi la pellicola perde di autenticità. 

Riguardo a The Midnight After, è corretto affermare che questo film può essere visto come una metafora dell'incertezza sociale e politica di Hong Kong oggi?
La presenza di questi presupposti all'interno della pellicola sono stati voluti. Ci tengo a precisare che The Midnight After, però, non nasce come un film di 'protesta', perché poteva venirne fuori anche un film commerciale. La produzione l'ha affidato a me e io gli ho conferito queste sfumature al fine di porre in risalto problematiche sociali ed economiche. È anche vero che rimane un film difficile perché non è stato del tutto accettato dalla Cina. Nel periodo di uscita, inoltre, Hong Kong è stata attraversata dalle proteste contro il governo cinese. Da quel momento c'è stata una scissione: chi era a favore e chi contro la Cina. Se non ti trovavi dalla parte giusta, le porte erano sbarrate. 

Sempre a riguardo di The Midnight After, vorremo sapere come è nata l'idea della scena con la pioggia rossa e perché ha scelto di inserire Space Oddity di David Bowie.
La canzone di David Bowie era una musica molto conosciuta ed apprezzata tra i membri della produzione del film. Ci piaceva e abbiamo pensato di metterla nel film. La pioggia rossa invece è stata inserita per dare pesantezza, per dare spessore a un film che nasceva con un intento commerciale. È stato assolutamente voluto.

In merito al film che sta preparando può dirci qualcosa.
L'ho già finito e ora è al vaglio in Cina. Narra di un omicidio.

Come ultima domanda, vogliamo chiederle della sua esperienza di giurato qui alla Mostra 2015. Si è annoiato o ha visto buoni film? Cosa ne pensa del film cinese Tharlo di Pema Tseden, inserito proprio nel concorso Orizzonti?
In verità mi sembra di essere ritornato ai primi di anni di regista, quando passavo molto tempo a guardare i film. Nella mia vita di adesso invece vedo sempre meno film. Questa nuova consapevolezza mi fa molto riflettere, fino a pormi la domanda: perché si fanno film, perché facciamo film? L'esperienza da giurato mi ha messo un po' in discussione. Nello specifico di Orizzonti ho visto molti buoni di registi che utilizzano diversi linguaggi e questo è ciò che mi piace di più. Uno dei film più interessanti che ho visto è stato The Childhood of a Leader di Brady Corbet. Tharlo è un buon film, fatto abbastanza bene. 

 

 

 

 



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