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Afternoon (Na ri xiawu) - Recensione (Venezia 72 - Fuori concorso)

Dopo venti anni trascorsi a collaborare insieme, può risultare complesso parlare del proprio rapporto. Tsai Ming-liang e Lee Kang-sheng si trovano, dunque, a conversare della profonda stima e affetto reciproco generati dal più puro dei sentimenti

Tardo pomeriggio. Sull'Isola di Taiwan, presumibilmente su una delle sue colline boschive, c'è una casa di cui sono rimasti solo i muri. Qui forse al primo piano oppure al piano terra ci sono due poltroncine su cui sono accomodati il regista Tsai Ming-liang e l'attore di tutti i suoi film Lee Kang-sheng. Si trovano a parlare in questa dimora di Stray Dogs, ultima loro collaborazione, in quanto un editore di Taiwan vorrebbe pubblicare un libro a riguardo a cui vorrebbe annettere un contributo video, così da renderlo più ricco. Le ora passano. Tsai beve acqua e tè, mentre Lee fuma cinque sigarette. I due amici, colleghi, amanti, uomini uniti da un viscerale destino discutono e si confrontano. Intanto il vento smette di spirare, il sole sta calando e l'imbarazzo iniziale tra i due ha lasciato spazio a nuove consapevolezze.
In apparenza c'è poco da dire su Afternoon. Il motivo è da rintracciare nel fatto che il documentario consta esclusivamente di un'inquadratura fissa su Tsai Ming-liangLee Kang-sheng in cui i due per circa due ore e mezza parlano delle sfumature umane e professionali che compongo il loro duraturo rapporto. Non ci sarebbe molto altro da aggiungere, quindi, se non si percepisse dalla visione che il regista di origine malese nel girare il documentario sia stato mosso dalla volontà di esprimere la sua gratitudine e stima nei confronti dell'amico. Parlare di Stray Dogs è solo un pretesto, un modo per accendere il discorso, perché l'imbarazzo iniziale è forte. Nonostante la loro collaborazione artistica duri da più di 20 anni e probabilmente la conoscenza da qualche anno in più Tsai, infatti, ha difficoltà a cominciare a parlare. Ciò si nota dal fatto che dopo alcuni secondi iniziali di silenzio in cui entrambi si guardano le punte dei piedi, il regista rompe il ghiaccio affermando: "Se non ci fossi stato tu, i miei film non sarebbero mai nati". Da questo istante comincia un monologo del cineasta taiwanese a volte interrotto da qualche battuta di Lee o da qualche suo mugugno in cui gli aneddoti si mischiano alle riflessioni.
Si viene a conoscenza che i produttori dei primi film di Tsai scapparono con tutti i soldi dopo il successo di Vive l'amour (1994), lasciandolo senza soldi. Altra storia riguarda la sua decisione di girare nel 2006 Hei yan guan nonostante il successo ancora vivo de Il gusto dell'anguria (2005), per risollevare l'animo di Lee, depresso e abbattuto dopo la scomparsa del padre. Ancora si viene a conoscenza del rapporto di entrambi con i rispettivi genitori e di come Tsai non sopporti particolarmente la madre di Lee, colpevole di urlare tantissimo. Questi brevi passaggi di vita sono incorniciati da un filo di sentimenti e passioni che il regista sviscera verso l'amico. Ciò prende avvio con una pura e cristallina ammissione di devozione, per poi espandersi e spiegarsi, fino a comprendere che il loro rapporto travalica i confini materiali del concetto di sentimento. Non è semplicemente amore, né tanto meno amicizia, né stima o rispetto: ciò che lega il regista e l'attore è un cordone ombelicale di reciproca sussistenza, di linfa creativa e vitale che mantiene vivo e attivo Tsai nonostante si evinca il suo profondo stato attuale di depressione. Usa parole di compassione e sconfitta Tsai, quando parla del suo presente, compromesso, inoltre, da una profonda malattia. Si sente sconfitto, fuori dai giochi del mondo, inerme nei confronti di un senso globale di vita a cui lui non si sente più partecipe.

Anche quando il regista usa parole velate dal dramma, non perde, però, la purezza, la sincerità, la più cristallina verità nel dichiarare che se non ci fosse Lee nella sua vita, lui non sarebbe riuscito a fare nulla. Questo carattere di innocenza rende, infine, il documentario sempre attivo, mai claustrofobico, nonostante prenda forma da una camera fissa, o noioso, al punto di accorgersi solo al termine che il vento all'esterno è calato e che la giornata volge alla conclusione. 


Il nostro giudizio: Il nostro giudizio è 3.5

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Davide Parpinel

Del cinema in ogni sua forma d'espressione, in ogni riferimento, in ogni suo modo e tempo, in ogni relazione che intesse con le altri arti e con l'uomo. Di questo vi parlo, a questo voglio avvicinarci per comprendere appieno l'enorme e ancora attuale potere di fascinazione della settima arte.

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