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Thy Womb (Venezia 69 - In concorso)

Una immagine tratta da Thy WombMiserie quotidiane e nobiltà d'animo nel dramma di una levatrice che rischia di perdere il marito perché non può dargli un figlio. Brillante Mendoza ci porta alla scoperta dei bajau, nomadi del mare che vivono sull'isola filippina di Tawi-Tawi. Il suo è ancora una volta un 'cinema di resistenza' di cui non possiamo fare a meno

Cos'è il cinema se non un viaggio alla scoperta di mondi inesplorati? È la domanda che sembra porsi di continuo Brillante Mendoza, capofila del cinema filippino di matrice autoriale, instancabile esploratore di zone d'ombra: di buchi neri in cui vengono risucchiate di continuo le vite delle persone comuni della sua terra natia, le Filippine, un Paese che sembra sempre sull'orlo del precipizio, fecondo di storie che si prestano a essere sottoposte alla lente d'ingrandimento della macchina da presa.
Nel suo ultimo film, Thy Womb, in concorso alla 69esima Mostra del Cinema di Venezia, Mendoza fa tappa sull'isola di Tawi-Tawi, nel sud delle Filippine. Qui c'è una comunità di bajau, nomadi del mare di fede per lo più islamica che vivono in piccoli villaggi su palafitte immerse nel degrado più totale ma circondate da una natura incontaminata. Un popolo di pescatori, molto legato alle sue tradizioni ataviche, che non ha mai conosciuto il significato della parola modernità. È in questo contesto che si muove Shaleha (interpretata da Nora Aunor, icona del cinema filippino), una levatrice che si prende cura dei figli degli altri ma che, per uno strano scherzo del destino, non può procreare. La donna si trova a dover fare buon viso a cattivo gioco di fronte alla scelta del marito Bangas-An di prendere in sposa una seconda moglie più giovane di lei per poter avere un figlio – una pratica accettata all'interno della loro comunità. Inizialmente l'unione di Bangas con un'altra donna non turba più di tanto Shaleha, unita al marito da un'amore indissolubile che è riuscito ad andare avanti negli anni nonostante le svariate difficoltà di una vita vissuta in condizioni di estrema indigenza e precarietà. Al momento però di condividere il marito con la seconda sposa Shaleha scopre di sentirsi vulnerabile.
Miserie quotidiane e nobiltà d'animo si intrecciano in un dramma quasi etnografico che non è un'elegia del pauperismo, cioè una di quelle operazioni furbe costruite a tavolino per intenerire i cuori deboli dello spettatore occidentale. C'è qualcosa di più autentico in gioco: l'espressione di una un'umanità indomita, stretta tra il degrado sociale e l'incanto della natura, la povertà materiale e la ricchezza di spirito, l'inferno di una condizione sociale logorante e il paradiso delle bellezze naturali.

Il risultato è un affresco estremo, scarno, rigoroso, per chi vuole farsi rapire il proprio sguardo. L'occhio di Mendoza è quindi ancora una volta schierato dalla parte di un 'cinema di resistenza', di persone che affrontano le prove più dure svelando un'umanità dolente e lontana dai soliti stereotipi. Thy Womb ne è una delle sue espressioni più felici, mature, intense.

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