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Venezia 80, giorno 2: cronache di cinema e non solo

Un resoconto fatto di news, rumors, eventi, volti, chiacchiere, battute, dichiarazioni e ovviamente cinema per spiegarvi bene cosa significa vivere ogni giorno la 80a Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica. Oggi parliamo delle taglienti dichiarazioni di Liliana Cavani, di Ferrari (il film), di un’opera prima indiana e ci facciamo una prima idea de El Conde

Bentrovati cari lettori li LinkinMovies.it! Secondo giorno di Mostra del Cinema, seconda ondata di film di Venezia 80. Il nostro programma di oggi è stato abbastanza variegato nelle visioni, come potrete tra poco leggere. Qui al Lido, oggi c’è stato il sole che ha illuminato i marmi dei palazzi della Mostra e riscaldato l’aria umida e pervasa dalla pioggia che ieri ha bagnato, letteralmente, la prima giornata e anche l’inaugurazione, presenziata dalla madrina Caterina Murino. Ecco appunto, partiamo da qui nella nostra cronaca dal Lido.

Torniamo per un attimo a ieri. Ieri sera comodamente seduti su un bel divano, abbiamo seguito la cerimonia di inaugurazione della 80a Mostra del Cinema. Noi appunto non eravamo in Sala Grande, ma in compenso un folto stuolo di politici e addetti alla cosa pubblica (?) ha popolato il red carpet prima e la sala dopo. Abbiamo notato che il numero di queste persone di edizione in edizione è sempre variabile; crediamo dipenda da quale appuntamento elettorale compaia all’orizzonte o semplicemente da quale politico di turno è in cerca di consensi, come a voler mettere una bandierina su questa manifestazione. Chissà se tutte queste belle presenze si ricordano che oltre a essere immortalati di fronte ai fotografi, la Mostra del Cinema è un’esposizione di cinema? Ma procediamo; lo spettacolo è pubblico e logicamente è aperto a tutti. Allora, serata inaugurale. Innanzitutto è stato consegnato il Leone d’oro alla carriera a Liliana Cavani che ieri ha presentato fuori concorso il suo ultimo lavoro, L’ordine del tempo, dalle mani di Charlotte Rampling e del presidente della Biennale Cicutto. La regista nel suo discorso di ringraziamento ha ricordato il suo impegno nel cinema, parlando di come ha costruito le sue opere, e nella parte finale ha affermato, con un filo di commozione e di riflessione, che lei è stata la prima donna a ricevere questo premio nella storia della Mostra. Ha aggiunto che ciò non è del tutto giusto, perché ci sono donne sceneggiatrici e registe che hanno lavorato nel cinema o stanno lavorando nel cinema che hanno bisogno di trovare il giusto spazio, hanno bisogno di essere viste e quindi di premi come il Leone d’oro alla carriera. «Questo il festival dovrebbe considerarlo. Considerare anche che le donne possono fare dei film», ha sentenziato. Mentre la Cavani sparava le sue pallottole, il presidente Cicutto inghiottiva amaro, e il direttore Barbera, inquadrato, era pervaso dal suo solito salomonico sorriso che forse è stata l’arma migliore da sfoderare in questa occasione. Allora, la questione è delicata. Liliana Cavani non ha di certo tutti i torti e i dati mettono in evidenza che quanto dice è esatto. Effettivamente la Mostra, come il Festival di Berlino, quello di Cannes o di Locarno dovrebbero ricordarsi maggiormente delle registe donne, soprattutto quando sono ottime interpreti del cinema. Una di queste è nella giuria di quest’anno di Venezia 80, Jane Campion, che meriterebbe senza ombra di dubbio un alloro simile. Ci vengono in mente anche la hongkonghese Ann Hui o Kathryn Bigelow o Margharete von Trotta che qui a Venezia ha anche vinto un Leone d’oro per il miglior film, ma ci sarebbero molti altri nomi da fare. Sappiamo che dirigere la Mostra del Cinema non è affare semplice e noi non siamo teneri con il direttore Barbera e Cicutto, però essere beccati sul nervo scoperto della parità di genere per quanto riguarda questo premio, era evitabile. La serata poi è stata una celebrazione degli 80 anni della Mostra con un video che solo parzialmente, ma davvero solo parzialmente, racconta i film che ne hanno fatto la storia. Ci sono dei buchi incredibili e stando al filmato sembra che il massimo premio sia stato vinto solo da registi americani e italiani con quale che sporadica intrusione. A noi non risulta. A riprova, provate a dare voi un’occhiata al video dell’intera serata su RaiPlay e soffermatevi su questo momento. Diteci se abbiamo visto male. Il vento di celebrazione, poi, è continuato con un ricordo in immagini dei quattro film diretti da Damien Chazelle, presidente di giuria di Venezia 80. È stato un momento un po’ imbarazzante, perché Chazelle non è un maestro del cinema, non ha diretto esclusivamente capolavori, ma è semplicemente un regista di Hollywood molto patinato e pettinato. Quindi questa pompa magna ci è sembrata davvero rimarchevole. A suggellare la serata, c’è stata la proiezione del film d’apertura Comandante di Edoardo De Angelis, di cui abbiamo già parlato nelle cronache di ieri.

E il cinema? Eccolo! Oggi è stato il giorno di tre film del concorso. Ferrari di Michael Mann, visto; El Conde della nostra Luce Del Cinema (puntata sette), Pablo Larraìn, lo vediamo domani, e Dogman di Luc Besson, che non abbiamo visto. Noi abbiamo aggiunto, per la sezione “scoperte dal Lido”, Stolen dell’indiano Karan Tejpal, selezione di Orizzonti Extra. Partiamo proprio da quest’ultimo film. L’opera prima del regista indiano affronta il tema del rapimento di neonati e della maternità surrogata illegalmente in India. In questo Paese, dice il film in una didascalia all’inizio, ci sono due popoli differenti. Si capisce, osservando la pellicola, che si tratta di coloro che hanno il denaro e possono comprare tutto, anche un neonato, e i poveri che invece i figli devono venderli o, se donne, vendere il proprio utero. Il focus di analisi di Stolen è intenso. Il regista, nonostante l’opera prima, non scade mai nella banalità e nel superficiale in quanto il film è un incastro di scoperte narrative basate sulla legge del sospetto, fino al raggiungimento della verità. La storia coinvolge due fratelli benestanti, uno è un fotografo, l’altro un giovane opulente, che assistono loro malgrado al rapimento in stazione della neonata di una donna. Siccome la polizia in India, dice il film, non fa gli interessi di tutti, ma solo di alcuni, la ricerca della bambina rapita e della verità conseguente, è condotta dai tre, anzi dalla donna e da uno dei fratelli, il fotografo, che convince l’altro a seguirlo. Tejpla insegue i protagonisti in un viaggio abissale fatto di violenza, giustizia privata e linciaggi. La sua macchina da presa inquadra sempre le azioni principali da punti di vista efficaci e, così, permette allo spettatore di non perdere le scoperte narrative di cui si compone in film. C’è qualcosa da sistemare in questo film, ad esempio la musica, il finale, arrivato un po’ in maniera sommaria e affidato esclusivamente al dialogo; qui il regista poteva anche giocare con il montaggio. Tutto sommato la prova del regista indiano è superata.

Allora, Ferrari. Da anni si sente che Michael Mann sta girando questa storia su Enzo Ferrari. Il direttore Barbera ha detto che quando il regista è stato presidente di giuria alla Mostra del 2012 ha colto l’occasione per andare a Modena a vedere i luoghi dei Ferrari e trarne ispirazione. L’attesa è valsa perché per noi il film è convincente. La storia parla di un breve frammento della vita dell’imprenditore emiliano, il 1957, annus horribilis per lui in cui deve fare i conti con i problemi finanziari dell’azienda; la moglie, socia in affari che non gli perdona nulla e l’altra sua famiglia composta da una compagna e da un figlio maschio, Piero, da riconoscere come suo. Poi ci sono le corse e le auto e queste in realtà non sono il centro nevralgico della pellicola. Le scene delle gare sono girate impeccabilmente con la macchina da presa che si incolla alla carena delle auto da corsa dell’epoca, ricostruite perfettamente, soprattutto nella Mille Miglia drammatica di quell’anno. Lo spettatore, così, non solo vive in prima persona l’emozione della gara, ma anche sente nelle proprie narici la puzza di benzina e percepisce sulla pelle lo sporco degli scarichi. A provare questa sensazione concorrono anche i rombi dei motori che risuonano perfetti nel volume della sala, mai invasivi, e le inquadrature dettagliatissime delle componenti meccaniche delle auto. Quindi, le corse e le auto ricoprono un forte ruolo nel film, ma Mann in un buon equilibrio narrativo, le accosta alla storia di Enzo Ferrari, descrivendolo come un uomo d’un pezzo, consapevole delle sue scelte e imperativo quando si tratta di trattare con giornalisti, meccanici e piloti. Il personaggio Ferrari tende così ad assomigliare alle sue auto: robusto in gara, lanciato nei suoi obiettivi, ma in grado di sgretolarsi quando escono rovinosamente fuori strada. Cosa rimane a fine visione di Ferrari? Un privilegiato spioncino da cui spiare la vita di questo simbolo della storia d’Italia, la curiosità di indagare tutti gli aspetti toccati dal film, e l’aver visto un film intenso e preciso che scivola via senza intoppi e senza cali narrativi e di tensione per due ore. Ottime le interpretazione degli attori Adam Driver, nel ruolo di Enzo Ferrari, e di Penelope Cruz, in quello della moglie. La loro alchimia, fatta più che altro di scontri, è un altro forte motore del film. 

La voce della sala stampa. Pablo Larraín è giunto nel concorso di Venezia 80 con El Conde, film che è stato presentato ufficialmente nel tardo pomeriggio di oggi. Nella mattina, però, c’è stata la conferenza stampa presenziata dal regista, insieme all’attore Alfredo Castro, alle attrici Gloria Münchmeyer e Paula Luchsinger e ai produttori. È emerso che Larraìn per girare El Conde (storia un po’ diversa del generale Augusto Pinochet) ha utilizzato un nuovo approccio visivo, una nuova scelta di narrazione per parlare in maniera originale del dittatore cileno. Il film infatti, è una combinazione di una farsa, di una satira, e della leggenda del personaggio del conte, un vampiro. La scelta di ritrarre il dittatore come un vampiro è nata dalla volontà di evitare che tra il pubblico e il personaggio si potesse creare empatia, ha affermato il regista, e questo sarebbe accaduto se il film fosse stato solo una farsa. Larraín ha voluto ritrarre una nuova figura pubblica del generale, interpretato da Castro, intesa nella sua immortalità come un vampiro perché Pinochet non ha mai pagato realmente per le sue colpe. In merito alla ricezione del film nel Cile di oggi, il regista cileno ha detto che sarà una sorpresa, seppur si aspetti una reazione dal pubblico del suo popolo. L’attrice Münchmeyer ha aggiunto a tal proposito che i cileni odieranno o ameranno il film, non ci saranno reazioni intermedie. Castro ha poi proseguito, sottolineando la genialità di Pablo Larraín in quanto solo lui poteva trovare il punto di vista della farsa politica per ritrarre Pinochet come un vampiro assetato di sangue. In merito alla sua figura, il regista ha aggiunto che il suo obiettivo era proporre la sua cattiveria unica e ciò si è visto soprattutto nel Golpe del settembre 1973 che è stato, appunto, sanguinolento e veloce. Paula Luchsinger ha suggellato questi discorsi su Pinochet, la storia del Cile a esso collegata e il ruolo de EL Conde, affermando che il film era necessario perché per troppi anni i diritti umani in Cile sono stati calpestati per colpa del generale. L’attrice si augura che il film di Larraín serva da monito per chi in Cile oggi si sta avvicinando ai partiti di estrema destra i quali stanno sempre più prendendo piede. Domani guardiamo il film e confermeremo (o smentiremo) quanto detto. 

La Mostra è già esplosa nella sua dimensione quotidiana. La sigla che presenta tutti i film selezionati, si è già impossessata delle menti degli spettatori. Per quanto crediamo sia la stessa da tre anni i disegni di Lorenzo Mattotti e la musica allegra e suadente di René Aubry (titolo Les Blés ne fue, per chi volesse cercarla) che li accompagna, sono sempre una combinazione ammaliante ed affascinate e rappresentano una piacevole porta d’ingresso ai film. Fuori dalla sala, invece, gli spostamenti dei giornalisti tra una sala e l’altra stanno velocemente ingranando; le corse verso la sala conferenza stampa si stanno facendo fitte e intense; le code ai bagni sono sempre più chilometriche e il pezzo di Lido che raccoglie questo mondo cinematografico si sta popolando. Ah… e non dimentichiamo le file al bar e i discorsi sui film declamati ad alta voce negli spazi in comune che però, in realtà, non disturbano, per quanto si possa essere d’accordo o in disaccordo, perché permettono alle idee di circolare. Infatti a volte si creano dei dibattiti tra persone sconosciute che conducono a nuove posizioni. A tronfiare non sono i punti di vista, ma il cinema stesso. Questo è uno dei valori di un festival. Insomma, la Mostra è definitivamente iniziata!

Domani è il giorno di Poor Things di Yorgos Lanthimos (Leone d’oro 2023? Noi la buttiamo lì!), di una scoperta cinematografia e del recupero del film di Pablo Larraìn. A domani!

 

Crediti fotografici:

Foto 1: Photocall Ferrari, Film delegation (Credits Giorgio Zucchiatti La Biennale di Venezia, foto ASAC)
Foto 2: Award Ceremony, President Roberto Cicutto, Liliana Cavani, Charlotte Rampling (Credits Giorgio Zucchiatti La Biennale di Venezia, foto ASAC) (2)
Foto 4: Ferrari, actor Gabriel Leone (Credits Lorenzo Sisti)
Foto 5: Press conference El Conde, director Pablo Larraín (Credits Giorgio Zucchiatti La Biennale di Venezia, foto ASAC) (3)


Davide Parpinel

Del cinema in ogni sua forma d'espressione, in ogni riferimento, in ogni suo modo e tempo, in ogni relazione che intesse con le altri arti e con l'uomo. Di questo vi parlo, a questo voglio avvicinarci per comprendere appieno l'enorme e ancora attuale potere di fascinazione della settima arte.

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