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Festival di Rotterdam 2014: considerazioni finali

Cosa rimane del Festival di Rotterdam 2014 dopo cinque giorni passati a masticare cinema? La risposta è già nella domanda, perché tutto ciò che concorre a creare la macchina festivaliera si basa su un'idea semplice e chiara

Respirare l'aria di Rotterdam alla fine di gennaio, percorrere quasi tutta la città per arrivare alle diverse sale di programmazione, sedersi in uno dei molti punti di riposo del de Doelen, parlare con gli addetti di sala, i volontari e i dipendenti dell'organizzazione sempre disposti a soddisfare tutte le esigenze, sono tutti ricordi che permettono di classificare l'esperienza all'International Film Festival di Rotterdam 2014 come unica.
Detta così questa kermesse potrebbe sembrare quella meglio organizzata e con i film migliori. Non è certamente vero, ma il festival lascia in chi lo vive qualcosa di speciale, perché nasce da un'esigenza naturale a volta sottovalutata da altre realtà simili: proporre il cinema.
In quest'ottica si trova la motivazione della selezione basata sulla proposta di opere prime e seconde, perché, come dimostrato, in questa si può rintracciare una forte traccia del valore comunicativo del cinema. Le pellicole che ho potuto vedere, infatti, si contraddistinguono per parlare all'uomo dell'uomo. Ciò che accomuna i film inseriti nel concorso principale, l'Hivos Tiger Awards Competition, è la volontà di riflettere sul tempo presente, magari utilizzando la storia passata come metafora. Che si tratti di commedie, tragedie o documentari, queste pellicole vogliono illustrare all'uomo di oggi i suoi limiti, porlo di fronte al suo stato di sopravvivenza nella società, per cercare anche una prospettiva di evoluzione futura. Questo presupposto rende le storie narrate originali e sempre innovative, anche se tecnicamente i loro registi hanno bisogno ancora di evolversi. Un problema che accomuna le pellicole del Concorso, infatti, è il discontinuo sviluppo di intensità che comporta cali di tensione nello svolgimento narrativo ed emotivo. Questi giovani filmakers, inoltre, azzardano poco visivamente, proponendo un linguaggio certamente funzionale al messaggio, ma a volte poco innovativo. All'interno dei film presentati in concorso solo Dick Tuinder in Farewell to the Moon e Paulo Sacramento in Riocorrente sviluppano un impianto visivo che rende dinamico lo sviluppo delle storie, e che soprattutto, nel caso del film brasiliano, aumenta la tensione.
I registi selezionati a Rotterdam sono il futuro del cinema e hanno bisogno di essere sostenuti. Per questo motivo nel numero complessivo degli accreditati, l'organizzazione riserva un maggiore spazio ai Cinemart, ossia i delegati delle case di produzioni e distribuzione o i finanziatori che non appartengono necessariamente la mondo del cinema. Loro arrivano a Rotterdam da tutto il mondo per dialogare con registi e attori, comprendere e discutere le loro idee, e vedere i loro prodotti. Il programma, infatti, permette di poter vedere quasi tutti i film inseriti nei concorsi, grazie a un numero di sale e proiezioni sufficienti.
Personalmente posso affermare che il Festival di Rotterdam è una buona piattaforma funzionale a tutti coloro vogliano osservare il cinema. In questo panorama si sente la mancanza, però, di un approfondimento sui registi che hanno reso grande questa arte all'interno delle retrospettive. Queste potrebbero risultare molto utili ai registi neofiti, per ampliare la loro tecnica e svilupparne una nuova. A livello di proposta il festival può migliorare. Innanzitutto mi riferisco ai film inseriti nell'Hivos Tiger Awards Competition. I selezionatori del concorso principale, seppur compiano un ottimo lavoro nella costruzione di un fil rouge tematico, dovrebbero cercare di evidenziare maggiormente i nuovi segni visivi, i nuovi stili più contemporanei. Il che può essere applicato a tutte le sezioni, soprattutto nell'ambito dei corti in cui le sperimentazioni sono maggiori. Una soluzione, ad esempio, potrebbe essere proporre i prodotti creativi provenienti dal laboratorio africano con lo stesso principio con cui negli anni Novanta l'organizzazione del festival portò i nuovi linguaggi delle cinematografie dell'Estremo Oriente. Le idee visive prodotte in Africa, inoltre, proprio perché spesso mal finanziate, potrebbero rispondere alla ricerca dei Cinemart.

Queste sono possibili prospettive per una realtà festivaliera che rimane ottima. Ciò avviene anche perché allontana lo show business, i grandi eventi e le celebrità a favore della genuinità e della proposta dell'idea originaria del cinema.

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