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L'altra Heimat - Cronaca di un sogno - Recensione

Una immagine di L'altra Heimat - Cronaca di un sogno, film di Edgar ReitzEdgar Reitz porta indietro la sua macchina del tempo fino alla prima metà dell'Ottocento. Il luogo è  sempre Schabbach, prussiana. La casa e la bottega sono sempre della famiglia Simon. Il racconto è sempre quotidiano ed epico, intimo e storico. Con un'inedita lotta tra sogni e destino. E il tempo che vince su tutto. Sempre

Era uno degli eventi più attesi della 70esima Mostra del Cinema di Venezia, questo L'altra Heimat - Cronaca di un sogno (Die andere Heimat) ed è stato un trionfo. Che la saga di Heimat abbia i suoi estimatori non sorprende. Ma i dieci minuti di applausi al termine delle oltre quattro ore di proiezione hanno commosso il regista, presente in sala, e gli attori principali che si sono abbracciati e baciati con un calore molto più mediterraneo che teutonico.
Applausi meritati per un capitolo che non solo ricostruisce il passato di Schabbach (l'immaginario paese dell'Hunsrück dal quale Edgar Reitz ha fatto partire la sua personale Recherche) ma che si fa coinvolgere narrativamente dai sogni del protagonista, imprimendo alle immagini e agli eventi un taglio romantico e tragico che illumina i successivi capitoli di una luce d'ineluttabilità trascendente assente negli altri lavori.
Jakob è il minore dei figli del fabbro del paese. Avido di conoscenza e di sapere, è costretto a leggere i libri di nascosto dal padre che lo vuole al suo fianco, a bottega. Sogna il viaggio, l'incontro con nuove culture. In quel periodo è il Brasile, la Terra Promessa. Molte famiglie dei paesi vicini s'imbarcano per andarvi a cercare fortuna. Lui riesce, attraverso le letture, a imparare gli idiomi delle popolazioni locali. Si prepara a partire, si confida e conta di portare con sé Henriette, la giovane coetanea di cui è innamorato. Il ritorno del fratello maggiore dal servizio militare e una notte di festa ubriaca muteranno il corso degli eventi.
Il cinema di Reitz nasce già classico. Non segue mode o tendenze. Segue un'idea precisa di cinema che, fingendo di raccontare la storia e la cronaca, ambisce a trasfigurarle entrambe in una visione dall'alto, totalizzante, dove i singoli sono imprigionati e al tempo stesso co-demiurghi del proprio destino. Il regista, come il suo ruolo richiede, imita Dio o il Fato, se si preferisce. Tesse la trama su più livelli, abbassa e innalza i personaggi, li abbandona, li riprende, segue il corso dei loro pensieri, li annega nei grandi eventi, guerre, migrazioni, li fa sperare, deludere, realizzare e morire. Senza giudizio ma con partecipazione, proprio come ci si aspetta da un Dio.
Quest'ultimo capitolo della saga, in particolare, sembra dominato dai sogni di Jakob. In realtà il vero protagonista è il Fato (il bianco e nero), è Reitz, la sua comprensione del Reale (i particolari a colori), che trasferisce a i suoi personaggi e a noi.

“La vita imita l'arte più di quanto l'arte non imiti la vita”, ha lasciato scritto O. Wilde.
Heimat è vita che imita la vita. Irrinunciabile.

P.S.: Il film arriverà nelle sale italiane solo per due giorni (31 marzo-1 aprile 2015).


Il nostro giudizio: Il nostro giudizio è 4.5

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1 commento

  • Michelone
    Michelone Venerdì, 20 Marzo 2015 16:21 Link al commento Rapporto

    Al cinema per soli due giorni? Non è un film per tutti, ma la nostra distribuzione fa pena... La saga di Heimat è avvincente, io ho visto tutti i capitoli grazie alle uscite in dvd e posso dire che merita.

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